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Una androsfinge per Mallarmé

Una androsfinge per MallarméFotografia di Man Ray dalla serie Bal au château des Noailles, 1929 ca.

Tardo Ottocento francese Nuova traduzione per «Eva futura» (1886) del bretone «maudit» Villiers de l’Isle-Adam, che anticipò il cyborg e il distopico: da Marsilio

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 6 giugno 2021

Nella sua Storia della letteratura francese dal 1789 ai nostri giorni, pubblicata nel 1936, Albert Thibaudet annoverava Villiers de l’Isle-Adam (1838-1889) nel capitolo dedicato ai «reazionari», insieme a Barbey d’Aurevilly, Gobineau e Léon Bloy, precisando però che «l’opera del bretone allucinato e chimerico è assai più preziosa, per noi, che non quella del profeta Gobineau o del conestabile Barbey». Il critico menzionava i celeberrimi Contes cruels, «una delle vette del racconto francese», il dramma Axël e L’Ève future, «romanzo che anticipa la nostra civiltà meccanicistica e americanistica di oggi, la profezia del Daniele del cinema».
D’altronde Verlaine aveva inserito lo scrittore in quel piccolo panthéon di Poètes maudits, come si intitola la sua antologia del 1888, che raccoglie una galleria di cammei dedicati a Corbière, Rimbaud, Mallarmé, Desbordes-Valmore e Pauvre Lélian, anagramma dello stesso Verlaine. In tale testo si legge che Axël e l’Eva futura sono «capolavori puri, interrotti per anni, ripresi senza posa come le cattedrali e le rivoluzioni». Lo stesso Mallarmé, in un suo articolato studio sull’opera dell’autore bretone, di cui sarà con Huysmans l’esecutore testamentario, aveva rilevato, riferendosi a L’Ève future, «l’audacia di questo libro (…) che porta l’ironia in cima alla pagina, laddove la mente vacilla».
Originariamente uscito nel 1886 presso M. de Brunhoff Éditeur, il romanzo si configura come un avveniristico affresco che, a differenza della rimanente produzione di Villiers, legata alla temperie post-romantica, sembra anticipare alcuni temi distopici caratteristici della narrativa fantascientifica. Esce adesso per Marsilio, che aveva già allestito anni addietro una versione dei Nuovi racconti crudeli con testo a fronte, Eva futura («Letteratura Universale», pp. 392, € 20,00) nella nuova valida traduzione di Chetro De Carolis. Nella sua esauriente prefazione, Ivana Bartoletti asserisce, a proposito di Hadaly, prototipo creato in laboratorio da Edison, basandosi sul personaggio di Alicia Clary, sorta di fatua Venus Victrix fidanzata con lord Ewald: «L’aspetto tecnico-sociale dell’artefatto è qualcosa che stiamo imparando a conoscere adesso, con i maghi di Menlo Park – lo stesso luogo dove Edison ha progettato Hadaly, l’andreide – e della Silicon Valley, che inavvertitamente dimostrano al mondo l’inestricabile connessione tra potere e tecnologia, in un contesto geopolitico nel quale il processo tecnologico ha assunto la dimensione di una corsa testosteronica verso un futuro distopico».
Eva futura ha conosciuto diverse versioni italiane, a cominciare da quella di Bietti del 1930, firmata D.C. (probabilmente Decio Cinti, il segretario di Marinetti, soprannominato «Mezzo lutto», lessicografo e traduttore), per passare a quella di Maria Vasta Dazzi allestita per Longanesi nel 1964, ripresa un biennio più tardi da Bompiani nella collana di letteratura fantastica «Il Pesanervi» curata da Ginevra Bompiani e arricchita dal saggio di Mallarmé, tradotto da Giorgio Agamben. Nonostante non abbia avuto la diffusione dei Racconti crudeli, che hanno conosciuto svariate traduzioni e, a modo loro, influenzato un autore come Landolfi (si leggano al riguardo le sorprendenti analogie tra i finali dei racconti Sentimentalisme e La mattinata dello scrittore, tratto dalla raccolta In società), Eva futura si pone ai vertici della creazione di Villiers, abbandonando il retaggio tipicamente simbolista a favore di una più sbrigliata procedura narrativa che non disdegna un approfondito armamentario scientifico.
Tuttavia, a fronte di un idealismo di taglio cattolico che non gli impedirà di sviscerare il versante occultistico ed esoterico, Villiers, amico di Baudelaire e Wagner, fiero della propria condizione di nobile decaduto, si contrappone alle istanze positivistiche orientandosi verso quel genere gotico che risente delle aberrazioni psicologiche di Poe e Hoffmann e prefigura i campionari teratologici di Bierce e Lovecraft. Non è un caso che Borges abbia inserito, nella splendida «Biblioteca di Babele» allestita per Franco Maria Ricci, l’antologia Il convitato delle ultime feste, dove riporta nell’introduzione: «Il suo Ève future è uno dei primi esempi di fantascienza che registri la storia della letteratura ed è anche una satira della scienza».
Ma, se il racconto è cupo, il narratore lo è ancora di più (Sombre récit, conteur plus sombre è il titolo di una delle sue novelle più famose che potrebbe fare il paio con quello di Tribulat Bonhomet, libro del 1887), salvo far ricorso all’ironia corrosiva di cui parlava Mallarmé, che serpeggia in ogni suo scritto diramandosi infine con la stessa capillarità delle manine d’edera in un muro sbrecciato e contrassegnando inequivocabilmente anche lo scheletro di Eva futura.
Il fatto stesso di aver scelto la figura di Edison come artefice di una hybris che sconfina nel patologico e nel grottesco è indice di una presa di distanza nei confronti del fideismo scientista che, in tal senso, lo contraddistingue rispetto al coevo Verne. Il sodale Huysmans scriverà, in un passo citato da Breton nella sua Anthologie de l’humour noir, che «nel temperamento di Villiers vi era un lato di comicità nera e di caricatura feroce: non più le paradossali mistificazioni di Edgar Poe, ma uno schernire lugubre e comico, lo stesso dei furori di Swift». E, di rincalzo, il «papa» del surrealismo aggiunge: «Il passato e il futuro si accaparrano tutte le facoltà sensibili e intellettuali del poeta, distaccato dallo spettacolo immediato; divengono due filtri di pura trasparenza, una volta che non ci si lasci più ipnotizzare dal torbido precipitato che nasce dal mondo di oggi».
La figura dell’andreide sembra addirittura anticipare certi esiti cinematografici che vanno da Metropolis di Fritz Lang a Blade runner di Ridley Scott. Ma il romanzo tocca anche tematiche che saranno sviluppate un secolo dopo nel Manifesto cyborg di Donna J. Haraway. Osserva ancora la prefatrice: «In fondo, non siamo lontani da Galatea, la statua amata da Pigmalione, forse il vero prototipo delle bambole come Samantha e Harmony. E non siamo lontani da Halody, l’andreide di Villiers, definita una “Imitazione-Umana” che non invecchia, a differenza della carne. E che, da buona andreide, è lontana da quel femminile percepito come “flagello”, cioè un essere pensante con desideri e aspirazioni». La cibernetica che sembra potenzialmente assecondare le nostre pulsioni più riposte si palesa attraverso le parole di Edison: «io, “il mago di Menlo Park”, come mi chiamano qui, offro agli umani di questi tempi nuovi ed evoluti, ai miei simili nell’Attualismo, insomma, la possibilità di preferire, d’ora in avanti, alla menzognera, mediocre e sempre volubile Realtà, una sincera, prestigiosa e sempre fedele Illusione».
In tale contesto si situa la mise en abyme riguardante la vicenda di Edward Anderson, amico di Edison, che si scioglierà nell’avvincente finale attraverso la comparsa dell’assistente Sowana. Lo stile di Villiers, nonostante sia sempre sorvegliatissimo, indulge spesso a meticolose descrizioni di taglio parascientifico che appesantiscono la lettura, anche se non mancano momenti in cui si coniugano ricercatezza (a volte un po’ artefatta: si vedano le citazioni in exergo a ogni singolo capitolo) e un pizzico di cinismo: «Edison guardava quella donna penetrandola con il colpo d’occhio acuto dell’entomologo che scorge infine, in una bella sera illuminata, la favolosa falena destinata un domani a coronare la collezione di un museo con uno spillo d’argento infilzato sul dorso». La storia di questa «androsfinge», come si intitola uno dei capitoli finali, costituisce una sorta di monito attualissimo che lo stesso Edison semplifica così: «Ogni uomo si chiama Prometeo senza saperlo, e nessuno sfugge al becco dell’avvoltoio».

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