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Una alternativa a questa scuola chiede coerenza

La polemica Negli ultimi anni l'autonomia degli insegnanti si assottiglia di giorno in giorno, coartata da dispostivi sempre più complicati di irreggimentazione e incasellamento.

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 27 settembre 2018

Abbiamo letto con grande sorpresa e con soddisfazione, il documento (il manifesto, 19/9) a nome del Centro di Iniziativa democratica degli Insegnanti (Cidi). Tuttavia, non abbiamo scorto nessun moto di disappunto, critica, presa di posizione da parte di questo organismo, che in passato ha svolto una funzione preziosa nell’arricchimento democratico e culturale del nostro sistema formativo. Eppure in questi ultimi anni è stato avviato il più grave progetto di immiserimento della scuola italiana mai tentato nella storia dell’Italia repubblicana.

La Buona Scuola e tutte le disposizioni che son seguite, stanno trascinando questa istituzione, centrale per il destino del nostro paese, alle dimensioni di una retrovia culturale di apprendistato al lavoro. La sottrazione allo studio di 200 e 400 ore ai nostri ragazzi, perché ottemperino agli imperativi dell’alternanza scuola-lavoro – che in alcuni casi configura un assoggettamento della didattica agli interessi privati dell’azienda dove si pratica l’alternanza – è una scelta dissennata che sottrae tempo all’arricchimento culturale e spirituale necessari in questa fase della formazione. Essa ubbidisce a una convinzione infondata e scientificamente fraudolenta.

L’idea, come recita la legge, che «ci serve una buona scuola perché l’istruzione è l’unica soluzione strutturale alla disoccupazione, l’unica risposta alla nuova domanda di competenze». Ma la scuola , seguendo gli imperativi del mercato del lavoro, deve inseguire la logica riduttiva e aggressiva delle competenze, su cu il Cidi ha fatto corsi su corsi di certificazioni? La burocrazia scolastica italiana, in sintonia con quella europea, sta pretendendo che già a 5-6 anni i bambini incomincino a «fare impresa», si esercitino «a competere», ad «assumersi rischi».

Sul manifesto alcuni di noi hanno più volte denunciato l’assurdità di questa scelta, anche con appelli firmati da centinaia di insegnanti (Giù le mani dai bambini) o con l’Appello per la scuola pubblica che ha raccolto migliaia di firme. Tali assurde manomissioni, addirittura della coscienza del mondo infantile, è parte di un tentativo di costruzione di un edificio di norme di controllo, verifica, imposizioni in cui la libertà e la creatività del momento formativo scompare.

Negli ultimi anni l’autonomia degli insegnanti si assottiglia di giorno in giorno, coartata da dispostivi sempre più complicati di irreggimentazione e incasellamento. Chiunque si provi oggi a entrare nel merito delle norme in cui si smarriscono le donne e gli uomini che reggono la vita delle scuole, ha bisogno di competenze specialistiche particolarissime per poter orientarsi. Al normale cittadino oggi è impedito di capire come funziona la scuola dove studiano i propri figli. Si leggano gli articoli di un’insegnante come Rossella Latempa, e di altri sulla rivista on line Roars, dedicate alle prove Invalsi destinate all’infanzia e si avrà la prova provata che un ambito rilevante della vita pubblica nazionale è sottratto, per imposta incompetenza, al controllo dei cittadini.

Siamo tuttavia compiaciuti e soddisfatti di quanto è affermato nel documento del Cidi e cioè che «serve un grande esercizio di pensiero, con la consapevolezza che non ci sarà un’alternativa a questa scuola – a questa politica, a questa società – se non ci sarà un pensiero alternativo che la sorregga». Insieme a tanti docenti e insegnanti, ci stiamo muovendo da tempo in tale direzione e abbiamo prodotto anche un testo Aprire le porte, dedicato alla scuola, che uscirà a breve per Castelvecchi. Sarà lo strumento di una lotta che percorrerà varie scuole della penisola. Alla sua base c’è la consapevolezza di questa necessità espressa nel documento del Cidi. Ma un «grande esercizio di pensiero» è possibile se si prende atto della catastrofe culturale in cui è precipitata la sinistra a livello mondiale. Bisogna sapersi dire che è finita nel fallimento definitivo e inoccultabile una strategia puramente moderata e difensiva di risposta all’attacco che negli ultimi 30 anni il capitalismo ha mosso al lavoro, ai diritti, alla democrazia. Non per niente ha avuta tanta fortuna il termine globalizzazione, che copre con le fattezze di un fenomeno naturale il più vasto e e violento attacco di classe della storia contemporanea.

*Officina dei saperi

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