È un libro immersivo Il Danubio di Nick Thorpe edito da Keller (pp. 388, euro 24) , casa editrice dal catalogo infinitamente necessario per comprendere geografie complesse, terre di confine, mondi inesplorati, un lungo viaggio dal Mar Nero alla Foresta Nera dove si fondono desiderio di scoperta e avventura, miti culturali e intrecci di vite umane nel tempo. Il giornalista inglese, attualmente corrispondente dall’Europa centrale per la Bbc, attraversa dieci paesi, Romania, Ucraina, Moldavia, Bulgaria, Serbia, Croazia, Ungheria, Slovacchia, Austria e Germania, in un Est dove essendo vissuto a Budapest è stato testimone «dello smantellamento della più efferata mostruosità che ha offuscato l’orizzonte mentale e fisico del continente europeo: la massa di cemento e acciaio, di torrette di avvistamento e fortificazioni, nota come Cortina di ferro», quindi con uno sguardo volutamente politico, come lo definisce, uno dei moventi di partenza di questo libro. A quei popoli, dopo la diaspora comunista «invischiati in un’ostilità reciproca ed eterna», il Danubio che li bagna tutti «offre conforto, e predica tolleranza. E nei paesi lontani dal mare il fiume ricorda alle persone quanto è potente la natura», sostiene.

SCRITTO COME TUTTI I GRANDI reportage che sarebbe riduttivo definire «di viaggio», perché ai paesaggi si mescolano moltissime storie, memorie, tra presente e passato, ma soprattutto incontri e navigazioni su gommoni in vetro resina, barche come il traghetto Rachete, «il razzo», motoscafi, aerei, persino una corsa a cavallo dentro un bosco. Un ibrido complesso che riesce a tenere insieme la condizione umana e del fiume al presente, le sue problematiche legate alla sopravvivenza, alle attività umane, economiche, ma anche leggende, la Storia con le sue epiche lontane e, naturalmente, la vita lacustre e quella dei pesci che la abitano. Pesci come lo storione, la specie più antica che popola la terra, di cui il viaggiatore e reporter inglese del Guardian, biasimato per questo da molti, fa il viaggio controcorrente sfidando il flusso avverso dalla parte sbagliata come il «pesce corazzato fatto tutto di cartilagine, un fascio di muscoli, un capolavoro di progettazione», come lo definisce un ricercatore.

IN OGNI TRATTO DI FIUME attraversato c’è un raccontatore che lo accompagna, narra le storie della sua famiglia, quelle orali e della Storia; sono in molti, le voci di un grande romanzo umano corale e vivente, traghettatori verso una piccola porzione di terra, di acqua, senso e tradizioni, comprese quelle gastronomiche, anche loro un frammento di quel particolare e unico genius loci. Voci di agricoltori, ricercatori scientifici, apicultori come Vasile che vive vicino al confine rumeno-bulgaro, contrabbandieri e pescatori, con i quali da reporter di razza Thorpe stabilisce quel collante necessario, fondamentale per entrare in comunione con paesaggi, comunità, culture: l’empatia.

Tutto è raccontato qui e ora, al presente con una lingua colloquiale, discorsiva, molto orale, l’autore mescola inchiesta giornalistica a reportage di viaggio, memoria saggistica, conoscenze scientifiche, frutto di studi preliminari profondi, intercettando mutazioni storiche, antropologiche, sociali. Ma anche tutto questo sarebbe ancora riduttivo per un libro così «enciclopedico» e stratificato dai molti solchi, perché come in una matrioska dentro questa narrazione fluviale possono finirci anche la «poderosa fortezza di Golubac», una vigna nella zona di Galati «dove Burebista, re dei Daci, coltivava vite già prima dell’arrivo dei Romani», come un monastero a Vucedol usato come campo di prigionia dai nazisti, o i due reattori Candu che producono il 20% dell’energia elettrica della Romania, e nel finale il sarto di Ulm di brechtiana memoria e persino una visita al campo di concentramento di Mauthausen nella Germania «pallida madre».

COME SI DICEVA, il libro è una immersione intellettuale, geografica, ma anche fisica, corporale e sentimentale, un’esperienza così totalizzante dopo la quale, come ci ricorda l’autore in una postilla «il legame con il fiume è diventato più intimo», e addirittura alla fine del viaggio confessa «mi sono reso conto che ormai il fiume intero abita dentro di me».