A quasi trent’anni dalla prima edizione, torna in libreria Identità mutanti. Contaminazioni tra corpi e macchine, carne e tecnologie nelle arti contemporanee (pp. 176, euro 20, Shake edizioni) della critica d’arte Francesca Alfano Miglietti (Fam). La quarta di copertina presenta il libro come «la ‘Bibbia’ delle contaminazioni e degli scenari performativi dell’età contemporanea riconosciuto come il manifesto teorico della rete di universi teorici della mutazione», di certo è un testo importante per capire cosa è successo nell’arte, soprattutto nell’arte non addomesticata, ma anche nella società.

DAI «TEORICI» Ballard, Burroughs, Cronenberg e Artaud alla Body Art, da Tsukamoto e Stelarc ai Survival Research Laboratories e ai Mutoid Waste Company, e poi ancora Serrano, Orlan, Jana Sterbak, Franko B., Aziz+Cucher, l’autrice, con un linguaggio «enfatico» che ricorda per alcuni aspetti gli scritti di Francesca Alinovi e Franco Bolelli, sviluppa un percorso, in tre capitoli, che intreccia: Umano, la carne; Transumano, la contaminazione carne/tecnologia; Postumano, le macchine, raccontando lo spazio invisibile di una umanità che stava inventando un nuovo mondo, tra voci, culture, modi di comunicare, slittamenti tra lingue e identità.

NEL LIBRO COMPARE il tracciato di un’arte di ricerca che si è dispiegata, e si dispiega, ai margini del mainstream culturale, che utilizzava il prelievo, lo spostamento, il campionamento, il mixaggio, il riutilizzo, che agiva come sintomo, come radar e prefigurazione di liberazioni e pericoli. A conferma di ciò, il libro contiene anche tre fondamentali sezioni, cinquanta pagine, con foto e illustrazioni che regalano immediatezza alla temperatura visiva della ricerca di Fam e di artisti e teorici a cui fa riferimento.

LA RIGOROSA LEA VERGINE, nella prefazione alla prima edizione ci ricorda che gli artisti presentati da Fam sono «portatori d’ansia che vanno oltre i confini di quello che si può fare, rischiando perciò il fallimento che vivono l’avventura di arte-vita-malattia e cioè quel distruggere per esistere, quel ferire per divenire». Come dire che non ci propongono utopie e neanche analisi, ma sono sintomi e termometri del reale, ci mettono faccia a faccia con gli incubi del reale.
Nella postfazione, scritta per la seconda edizione del 2003, Franco Berardi Bifo scrive: «è un libro formidabile perché unisce fulminea concitazione descrittiva, ironico distacco la parola il segno il gesto l’azione hanno da tempo abbandonato la pretesa di cogliere identità, e si aprono al divenire altro. Questo il processo che Fam elabora in una schizoide cartografia delle micromutazioni sensibili di cui l’arte è testimone e motore, radar e stimolatore».
A fine libro, Fam ci propone due conversazioni con protagonisti della ridefinizione culturale degli anni a cavallo del 2000, Orlan, Stelarc e Antonio Caronia.
Sostiene Stelarc che per Heidegger la tecnologia «è come far festa» (avrà letto bene il «mago di Messkirch»?), in ogni caso sono spiazzanti le sue affermazioni che esaltano la tecnologia, fanno riflettere sull’ubriacatura di alcuni, negli anni ’90, a proposito della liberazione che le nuove tecnologie avrebbero garantito. Gli ultimi trent’anni sono stati terrificanti dal punto di vista dei cambiamenti politici, sociali e culturali.

NAZIONALISMI, razzismi, sconfitta del movimento altermondialista di Seattle e Genova, capitalismo della sorveglianza e sfruttamento capitalista, povertà di interi paesi del mondo e di nuovi segmenti sociali che non riescono a ricomporsi nelle lotte, «infoxicazione» e disordine dell’attenzione, crisi ecologica e climatica, pandemia… forse lo scenario è cambiato così tanto e così velocemente da far diventare Identità mutanti un – pur interessante – libro di storia dell’arte e della creatività, non più molto contemporaneo.
Ne sembra consapevole anche l’autrice che, nel capitolo introduttivo scritto per questa edizione, dopo aver mostrato le differenze e le ripetizioni nella società e nell’arte degli ultimi trent’anni, conclude. «nessuno sembra più in grado di rispondere alla domanda su cosa faccia parte o meno del mondo reale. E in una società accecata che ha perso il contatto con il reale, e che soprattutto ha smarrito la capacità di vedere l’oceano d’immagini in cui tutti navighiamo, l’arte rivendica per sé il corpo e soprattutto l’umanità». Come dire, ovvio, per sé e per tutti.