Un uomo solo al comando: Riccardo Laganà
Ri-mediamo Una proposta: si approvi il bilancio e, accorciando l’iter parlamentare, si voti la riforma. Prima di rifare un consiglio di amministrazione e un amministratore decisi con gli antichi riti lottizzatori
Ri-mediamo Una proposta: si approvi il bilancio e, accorciando l’iter parlamentare, si voti la riforma. Prima di rifare un consiglio di amministrazione e un amministratore decisi con gli antichi riti lottizzatori
Nell’incertezza sul futuro della Rai, tanto nelle prospettive mediali quanto nei gruppi dirigenti, c’è una sola certezza: il giovane tecnico Riccardo Laganà, rieletto con il 45% dei consensi consigliere di amministrazione in rappresentanza dei dipendenti. Ha incrementato di almeno un migliaio di voti il consenso rispetto alla volta precedente, a dimostrazione del buon lavoro svolto. Sua, peraltro, la felice battuta sul largo accordo farisaico sulla necessità di fare uscire i partiti dall’azienda, naturalmente quelli che verranno dopo. Laganà fu tra i più attivi e partecipi del dibattito attorno alla riforma della Rai, come rappresentante di IndigneRai nell’associazione chiamata (all’americana) MoveOn. Ne scaturì, dopo una lunga consultazione durata un paio di anni, un progetto assai evoluto, depositato alla camera dei deputati nel marzo del 2015 a firma Fratoianni, Civati, Scotto, Zampa, Pannarale, Pastorino. Due livelli di indirizzo e gestione: un consiglio snello e operativo, un organo di garanzia ampio e comprensivo di rilevanti parti della società civile. Purtroppo, né quello né altri passarono, mentre fu varata una leggina voluta da Matteo Renzi. Quest’ultima, contraddicendo una quarantennale giurisprudenza della Corte, attribuì i massimi poteri ad un amministratore delegato scelto dal governo. I risultati sono noti.
Ora, il tempo di quei vertici volge al tramonto. Il 30 giugno è convocata l’assemblea degli azionisti (in verità, un funzionario del ministero dell’economia, con rispetto parlando), per approvare il bilancio. A norma di codice civile. Si tratta del termine massimo, oltre il quale c’è l’esercizio provvisorio. Che significa, allora, che è prevista a luglio una seconda convocazione? Forse, si voleva dire, utilizzando una terminologia impropria, che la nomina dei nuovi consiglieri avverrà più avanti. Già, perché si procede nel buio. In attesa di un cenno del premier Draghi? Che non è noto se si stia occupando della materia, ma la cui figura incombe sempre, a mo’ di una pièce shakespeariana. Le parole che accompagnarono il dibattito sulla norma in vigore erano nette: finalmente, l’apparato di viale Mazzini sarebbe diventato una vera azienda. Peccato che ogni decisione laggiù abbia modalità del tutto peculiari, con lentezze e lungaggini assai eccentriche rispetto alla velocissima età digitale.
Ecco perché la scelta di un consigliere, almeno uno, è una rondine. Manca ancora, però, la primavera. Evidentemente, visto che la storia si ripete con disarmanti similitudini, sono proprio i meccanismi decisori a non funzionare. Insomma, è urgente una riforma, tale da mettere fine a simile pagana rappresentazione. Si è accennato alla necessità di immaginare due livelli di indirizzo e di gestione ben distinti. In tale direzione sembrano andare i testi depositati e sui quali è iniziato l’iter parlamentare presso la competente commissione del senato. Finora esistono articolati del Partito democratico, del Mov5stelle, di Liberi e uguali (alla camera dei deputati). In arrivo omologhi di Forza Italia e della Lega. Una proposta: si approvi il bilancio e, accorciando l’iter parlamentare, si voti la riforma.
Prima di rifare un consiglio di amministrazione e un amministratore decisi con gli antichi riti lottizzatori. La storia istituzionale recente ci ha dimostrato che, quando si vuole, un disegno di legge si può approvare in pochissimi giorni. Sarà chiaro, del resto, che accedere a nomine balneari significherebbe chiudere la partita per l’intera legislatura. Neppure si è accettata l’ipotesi di dedicare qualche spazio di discussione alle candidature, presentate magari attraverso i canali diffusivi di camera e senato. O tutto finirà in un’indicazione dell’ultimo minuto dei capigruppo, con un messaggino telefonico?
PS: è in arrivo il decreto del ministero dello sviluppo di attuazione della direttiva europea sui nuovi servizi audiovisivi, recepita recentemente nell’ordinamento italiano. Pare che siano edulcorati enormemente i limiti dell’affollamento pubblicitario e che non siano trattate molto bene le emittenti locali. Alla prossima puntata.
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