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Un thatcheriano a San Pietro

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Vaticano La filosofia del cardinale George Pell è di avere una chiesa povera con le casse piene

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 10 agosto 2014

Una «Chiesa povera» con le casse piene. Una contraddizione, ma non in Vaticano, dove anzi l’antitesi viene teorizzata non da un prelato qualsiasi, ma dal cardinale George Pell, il «superministro dell’economia» della Santa sede, scelto appositamente da Bergoglio qualche mese fa.
Papa Francesco vuole una «Chiesa povera per i poveri», ma ciò «non significa necessariamente una Chiesa con i forzieri vuoti e certamente non significa una Chiesa sciatta o inefficiente o disposta a farsi derubare», spiega il cardinale in una lunga intervista, due giorni fa, all’agenzia statunitense Catholic News Service, ripresa poi dall’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa sede, a sancirne quindi l’ufficialità.
George Pell, cardinale australiano ultraconservatore – a ottobre parteciperà al pellegrinaggio mondiale dei cattolici tradizionalisti e celebrerà una messa secondo il rito tridentino in una chiesa romana –, vescovo di Sidney fino a febbraio, è uno dei porporati di maggior fiducia di Bergoglio, che prima lo ha nominato del cosiddetto C8 (il consiglio dei cardinali che sta preparando la riforma della Curia e che deve aiutare il papa nel governo della Chiesa universale) e poi lo ha messo a capo della Segreteria per l’Economia, il neonato dicastero che si occupa di tutte le attività economiche e amministrative del Vaticano, assorbendo una serie di competenze fino ad ora distribuite in vari organismi.
Quando ai primi di luglio, in un’affollata conferenza stampa condotta proprio dal cardinal Pell, venne presentato il nuovo presidente dello Ior, la banca vaticana – il finanziere francese Jean-Baptiste de Franssu – e furono illustrate le linee guida della riorganizzazione economica di Oltretevere, l’impressione complessiva fu che era finita l’epoca bertoniana pressappochista e degli «amici degli amici» (vedi il regalo di 15 milioni del cardinal Bertone, con i soldi dello Ior, alla Lux Vide di Ettore Bernabei) e che stava cominciando quella dei professionisti della finanza.
L’intervista di Pell conferma questa impressione. «Stiamo cercando di mettere in atto – spiega il cardinale al Cns – le migliori pratiche gestionali possibili», quelle cioè in grado di rispondere agli «standard internazionali per la contabilità e la gestione del denaro». Non che prima mancasse un impegno in tal senso, precisa, ma poiché la Santa sede ha mezzi finanziari importanti, ora si sta provvedendo a introdurre «tutti i sistemi e le procedure appropriati e prudenti, che siano accettabili nel resto del mondo».
Finanza, quindi. E spending review, perché Pell annuncia prossime riduzioni del personale, senza usare la mannaia. Ci sono aree «dove lentamente e nel lungo termine ci saranno riduzioni – annuncia –. Ci muoveremo con sensibilità e consultandoci, ma in generale avremo meno personale». Prepensionamenti quindi, «nessuna grande purga».
Ma dall’intervista si comprende soprattutto qual è l’ideologia che guida le riforme economiche di Oltretevere: il capitalismo compassionevole. «Se bisogna aiutare i poveri – spiega il ministro vaticano dell’economia –, dobbiamo avere i mezzi per farlo. E meglio gestiamo le nostre finanze, più opere buone possiamo svolgere». La stella polare è la parabola evangelica del buon samaritano, secondo l’interpretazione non di qualche teologo ma di Margaret Thatcher. «Ricordo il commento della Thatcher – spiega Pell –: se il buon samaritano non fosse stato un po’ capitalista, se non avesse accumulato dei soldi, non avrebbe potuto aiutare il prossimo. Anche noi possiamo fare di più se produciamo di più».
Forse Bergoglio non sarà molto contento per la citazione della «lady di ferro» che nel 1982 contro l’Argentina combatté una guerra per le isole Falkland-Malvinas, tuttavia resta il fatto che Pell è stato messo a capo del dicastero economico della Santa sede proprio da papa Francesco. E forse le distanze fra i due sono assai minori di quello che sembrano. Del resto la «Chiesa per i poveri» annunciata da Bergoglio, benché a cambiare sia solo una preposizione, è espressione profondamente diversa dalla «Chiesa dei poveri» di cui si parlava ai tempi del Concilio.

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