Un taccuino contro gli inganni
Scaffale Nell’ottantesimo anniversario della sua morte per mano nazista, Feltrinelli ripropone «Apologia della storia». Uno dei massimi conoscitori dello storico francese, Massimo Mastrogregori, si è assunto il rischio di un «restauro» del «manoscritto interrotto»
Scaffale Nell’ottantesimo anniversario della sua morte per mano nazista, Feltrinelli ripropone «Apologia della storia». Uno dei massimi conoscitori dello storico francese, Massimo Mastrogregori, si è assunto il rischio di un «restauro» del «manoscritto interrotto»
Nell’ottantesimo anniversario dell’assassinio del suo autore per mano nazista, lo scorso giugno Feltrinelli ha dato alle stampe la terza edizione dell’Apologia della storia di Marc Bloch (pp. 464, euro 16), nota anche con il titolo congiunto di Mestiere di storico. Pubblicato postumo nel 1949 e subito tradotto da Einaudi (1950), nel 1993 ha conosciuto una edizione filologica a cura del figlio Étienne, anch’essa poi edita per i tipi einaudiani (1998).
Di trentennio in trentennio, è ora la volta di un tentativo ancor più ambizioso. Uno dei massimi conoscitori dello storico francese, Massimo Mastrogregori (al quale si deve una bella Introduzione a Bloch, Laterza 2001, che andrebbe ristampata – il curatore è intervenuto sul manifesto in occasione del precedente decennale, il 3 giugno 2014), si è assunto il rischio di un «restauro» del «manoscritto interrotto».
PRESO DAI COMPITI della lotta armata antifascista, infatti, Bloch non portò a termine la riflessione sul fare storia, intrapresa dopo il fallimento politico del 1940, con il crollo non solo militare della Francia invasa dalle armate hitleriane, ma ne indicò le prospettive. La sfida di una filologia costruttiva è raccolta esplicitamente da Mastrogregori, sulla base dell’ipotesi di una continuità sostanziale fra l’Apologia e l’intero percorso di Bloch. Questo autorizzerebbe un parziale completamento del testo, mediante una «integrazione congetturale» che inserisca via via tessere precedenti (edite ma anche inedite) ad arricchire il mosaico del libro. Accanto all’azzardo scientifico, questa edizione ne pone un altro: sulla scorta delle intenzioni dello stesso Bloch, che intendeva «parlare ai dotti e agli scolari», la raffinatissima operazione è pubblicata nelle forme di una edizione economica, come se fosse una lettura per tutti, non scevra di implicazioni politiche sul nostro presente europeo.
L’Apologia venne dedicata all’amico e collega Lucien Febvre (sul quale si è tornati in queste pagine il 1 settembre 2020), nonostante i dissapori legati alla tormentata vicenda delle Annales nella Francia fascistizzata e antisemita (evidenziati dal carteggio fra i due, edito fra 1994 e 2004). Il messaggio di fondo della riflessione blochiana si può compendiare in una doppia rivendicazione: da un lato, la necessità e legittimità della storia, un sapere che illumina anche il presente; dall’altro, visto che le stesse domande tormentano il «pensiero» e l’«azione», l’utilità della storia è tutta conoscitiva e può farsi pratica, dunque politica, solo se pienamente scientifica.
SCIENTIFICA senza virgolette: per Bloch la storiografia è una scienza e non può che basarsi sull’«esperienza», vale a dire sulla critica delle testimonianze e delle tracce documentarie, sulla costante riflessione collettiva su metodi e categorie e soprattutto su veri e propri esperimenti. Questa pratica sperimentale non è naturalmente assimilabile a quella di laboratorio, ma dev’essere altrettanto rigorosa, fondata sull’ampia comparazione di casi del passato, sola risorsa intellettuale che permette di evidenziare il gioco dei diversi fattori e processi all’opera nelle relazioni sociali.
Impossibile esaurire la ricchezza delle pagine del Mestiere nell’angusto spazio di una recensione.
Difficile trasmettere il piacere del testo, di un pacato e incalzante argomentare, incredibile se lo si colloca nel suo contesto storico, le tragedie della Seconda guerra mondiale e le fatiche della clandestinità e della resistenza. Bloch rifiuta risposte generali, filosofie della storia, ma si affida alla pratica, alla storia come «mestiere» e non nel senso di una professione accademica: il suo è il «taccuino di un artigiano». Al centro della storia, contro tutte le astrazioni, vi sono gli uomini e lo storico li insegue dietro la carta dei documenti e delle loro parole, come l’«orco» delle favole. Contro ogni separatezza, per Bloch la storia serve anche a capire il presente, ma vale anche l’inverso, per cui non si dà intelligenza del passato senza sensibilità e curiosità a quel che vive nel presente.
Le modalità di conoscenza sono le stesse, si tratti di fenomeni attuali o remoti, la differenza è di grado e implica sempre il passaggio attraverso tracce che occorre saper interrogare: i documenti non parlano mai da soli, così come, oggi, non lo fanno immagini e «big data», e perché rispondano alle nostre domande vanno sottoposti a una continua critica e interpretazione. Ogni metodo vale, la storia non è diversa dalle altre scienze sociali, ma occorre un lavoro collettivo, la convergenza di specialismi e tecniche per dar luogo alla «scienza degli uomini nel tempo», sempre sospesa fra senso della continuità e individuazione del mutamento.
MOLTI ANNI FA Carlo Ginzburg ha segnalato l’importanza del circuito fra passato e presente ponendo in luce le continuità fra la riflessione di Bloch sulle false notizie in guerra, a partire dalla propria esperienza (pubblicate nel 1921, tradotte in raccolta einaudiana Storici e storia nel 1997 e poi in volume separato per Donzelli nel 2004) e il contemporaneo grande libro sui poteri magici dei sovrani europei (vedi riquadro in questa pagina). Al momento illuministico della demistificazione degli usi politici della menzogna, secondo Bloch occorreva affiancare, nelle trincee del 1914 come nelle corti medievali, la comprensione delle basi sociali e delle rappresentazioni culturali che avevano permesso la diffusa credulità. In una pagina della Strana disfatta, «testimonianza» vergata a caldo dall’ufficiale dell’esercito che aveva vissuto il crollo del 1940, si constatava che nel XX secolo le masse non potevano più semplicemente obbedire: seguivano le autorità o i dirigenti perché erano ipnotizzate o perché consapevoli.
IN QUESTA DIALETTICA, oggi esasperata sotto forma di fake news dalle nuove tecnologie, dai social media e dalla diffusa presa di parola (si veda a tal proposito l’intervista dello stesso Ginzburg a Mauro Boarelli sugli «Asini» dello scorso dicembre, che si chiude sugli insegnanti «oggi vergognosamente sottopagati»), restano attualissime le riflessioni consegnate all’Apologia. Lo storico francese era attento agli inganni che, allora trasmessi dai giornali, principali media del tempo, producevano nei lettori uno sdoppiamento fra totale diffidenza e ingenua credulità, che oggi risulta sbilanciato per l’immersione continua in Rete e sugli smartphone. Bloch si poneva angoscianti interrogativi: avevano i progressi tecnici «smisuratamente ampliato l’intervallo psicologico fra le generazioni»? «Un giorno» la nostra civiltà avrebbe girato «le spalle alla storia», dunque al dialogo fra vivi e morti, fra presente e passato?
«Gli storici farebbero bene a rifletterci», ammoniva il grande studioso: non solo loro, verrebbe da aggiungere, a tutti noi tocca rispondere.
SCHEDA
Nato a Lione in una famiglia di origine ebraica nel 1886, figlio dell’antichista Gustave, Marc Bloch avviò il percorso classico della carriera accademica, salendo diciottenne a Parigi all’École normale supérieure per poi fare la consueta gavetta nei licei della provincia. Combattente nella prima guerra mondiale, nel dopoguerra venne incaricato dell’insegnamento della Storia medievale e dottorando nella Strasburgo riconquistata ai tedeschi.
Vi incontra Lucien Febvre, con il quale avrebbe dato vita a una delle più importanti riviste storiche, le «Annales», protagoniste della «rivoluzione storiografica» novecentesca (Peter Burke), culla della storia sociale e di molto altro. Tre i grandi libri di ricerca, tutti tradotti da Einaudi: i Re taumaturghi (1924, 1973), I caratteri originali della storia rurale francese (1931, 1973), La società feudale (1939-1940, 1949).
Cattedratico medievista dal 1927, passò alla Sorbona nel 1936, sull’unica cattedra francese di Storia economica. Occupata la Francia settentrionale dai nazisti, dopo la «strana disfatta» a cui aveva dolorosamente partecipato (fu a Dunkerque, nella terribile fuga del 1940 attraverso la Manica), cacciato dall’insegnamento in quanto ebreo, riparò nella parte meridionale del Paese, posta temporaneamente sotto il regime collaborazionista di Vichy. Si unì con funzioni dirigenti alla Resistenza, ma catturato dalla Gestapo, venne fucilato nel 1944. Per prendere contatto con l’opera di Bloch, oltre al profilo di Claudio Vercelli sul manifesto del 18 giugno 2019, si può scaricare copia della versione digitale del volumetto Il salario e le fluttuazioni economiche di lungo periodo (Palermo University Press 2019, che unisce una lunga discussione del 1933 a preziosi contributi di Maria Luisa Pesante e Francesco Mores), a partire dalla biblioteca della Società italiana di storia del lavoro (https: //www.storialavoro.it/edizioni/i-volumi/).
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento