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Un superpremio, più alto del Porcellum

Un superpremio, più alto del PorcellumL'aula del senato della Repubblica

Legge elettorale Applicando al modello illustrato ieri dal sindaco di Firenzi i risultati del 2013 si scopre che il Pd riceverebbe il 28% dei seggi in premio

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 21 gennaio 2014

Trecentotrentaquattro (334) seggi al primo partito, duecentonovantesi (296) a tutti gli altri. Come nella versione originaria della legge Calderoli (settembre 1995), poi corretta e passata alla storia come Porcellum. Anzi peggio, perché lo schema di legge elettorale presentato da Renzi parte da una base proporzionale, ma ci aggiunge tutte le distorsioni del voto popolare possibili: dalle alte soglie di sbarramento al premio di maggioranza ai collegi piccoli. Al ballottaggio, ultima concessione di Renzi ad Alfano. Gradita da Letta, «apprezzata» da Berlusconi.

Si ripetessero identici i risultati elettorali di undici mesi fa, in parlamento siederebbero con questo Italicum tre soli partiti: Pd, Forza Italia e Movimento 5 stelle (esclusi anche i montiani che nel 2013 si sono presentati come coalizione). Il segretario del Pd sostiene che questo sistema rispetta le indicazioni della Corte costituzionale, che ha decapitato il Porcellum per il suo premio di maggioranza eccessivo. Ma facendo i conti si scopre che il modello, con i risultati del 2013, regalerebbe al Pd un premio ancora maggiore: 25% al partito al primo turno (alleati fuori perché sotto le nuove soglie), 53% di seggi. Significa il 28% dei seggi in omaggio – visto che al secondo turno non si sa quanti tornano a votare, in genere meno del primo.Nel 2013 il premio alla coalizione è stato «solo» del 25%, comunque troppo per la Consulta.

Nel dettaglio la proposta prevede tre soglie di sbarramento, 5% per le liste coalizzate, 8% per le non coalizzate e 12% per le coalizioni. Il premio di maggioranza è del 18%, o meno se una coalizione supera il 37% al primo turno, ma come abbiamo visto all’atto pratico è molto più alto. Se nessuno raggiunge il 35% si va al secondo turno, e allora chi prende anche un voto in più vince il 53% dei seggi. I collegi sono piccoli, delle dimensioni più o meno di una provincia, le liste bloccate di quattro-sei candidati. Ma la ripartizione dei voti è nazionale, così che Alfano può sperare di raggiungere il suo 8% (o il 5% se decide di tornare subito con Berlusconi). È vero che l’elettore non avrà più di fronte le liste bloccate di 40 nomi, ma – lo ha fatto notare ieri Gianni Cuperlo – chi scegli una lista in un collegio può finire col beneficiare il candidato di una lista di una altro collegio (colpa dell’attribuzione dei seggi su base nazionale). Infine non è prevista neanche l’alternanza dei sessi nelle candidature; Renzi ha promesso che il Pd lo farà così come farà le primarie. Ma non sarà la legge a imporlo. Altro aspetto che, alla luce della riforma dell’articolo 51 della Costituzione, è a rischio incostituzionalità.

Il segretario del Pd ha spiegato che la proposta va presa in blocco. «Non sono possibili modifiche alle soglie, fanno parte dell’accordo con gli altri partiti». Berlusconi lo ha immediatamente elogiato, esprimendo in una nota «sincero apprezzamento perché ha rappresentato in modo chiaro e corretto i contenuti dell’intesa che abbiamo raggiunto sabato». I dissensi interni al Pd – che ieri si sono fermati sulla soglia dell’astensione – si misureranno al senato. Dov’è annunciato un emendamento per reintrodurre le preferenze. In teoria una quarantina di senatori democratici non in linea con il segretario potrebbero bloccare la riforma. Ma sono troppi, e troppo tempo deve ancora passare. La riforma è adesso alla camera, anzi ci arriverà. Una surreale e semideserta riunione della prima commissione ieri si è adattata ai ritmi della direzione Pd. I commissari aspettano che venga loro recapitato il testo cucinato da Verdini, Renzi e Quagliariello. Dovrebbero portarlo in aula entro lunedì prossimo, ma è più facile che sforino di un paio di giorni. Comunque Renzi salverebbe la soglia psicologica di gennaio. La sua tabella di macia prevede l’approvazione in prima lettura entro febbraio, e il sì definitivo entro le europee di maggio.

Per fine maggio dovrà essere approvata, almeno in un ramo del parlamento (non più in due), anche la «riforma» del senato. Che è in realtà una trasformazione da camera elettiva a camera delle cooptazioni: ci troveranno posto sindaci e presidenti di regione. E forse anche qualche rettore di Università: la direzione del Pd ieri ha detto sì, senza una critica, ma la proposta resta più vaga che mai. I cooptati avranno funzioni legislative? Lo illustrerà la responsabile riforme, Boschi, entro metà febbraio. E così avremo una camera riservata ai primi tre, quattro partiti, con una maggioranza blindata eletta da una minoranza di elettori. E un senato di amministratori locali graziosamente promossi. Secondo Renzi è una cura contro l’antipolitica. Evidentemente omeopatica.

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