Cultura

Un solo salone del libro nomade tra due città

Un solo salone del libro nomade tra due cittàAlicia Martin, Singularidad

EDITORIA Incontro al Mibact. Presentata proposta di Dario Franceschini. Tutte le parti in causa in una struttura che organizzerà tra Milano e Torino la kermesse annuale. Toni cordiali dopo le dichiarazioni di guerra degli scorsi mesi. Martedì prossimo nuovo appuntamento

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 13 settembre 2016

La proposta il ministro dei beni culturali Dario Franceschini l’ha anticipata a mezzo stampa con un’intervista al quotidiano La Repubblica. Il tema in questione è il conflitto attorno al Salone del libro, sfociato nella clamorosa rottura di inizio estate con la dichiarata intenzione dell’«Associazione italiana degli editori» di organizzare l’evento a Milano, alternativo a quello di Torino. A tal proposito è stata costituita una società – «La fabbrica del libro» – preposta all’organizzazione dell’iniziativa milanese e alla raccolta dei soldi necessari. Posizione che ha visto alcuni editori uscire dall’Aie – e/o, nottetempo, Iperborea, Minumun fax, Nutrimenti e Sur per esempio – e altri (Laterza e Feltrinelli) assumere una posizione equidistante.

Per tutta l’estate si sono susseguite prese di posizione, incontri, annunci poco concilianti da nessuna delle parti in causa, fino ad ipotizzare lo svolgimento nella stessa data di due saloni del libro in competizione tra loro. Una prospettiva presentata dall’Aie che è suonata come una dichiarazione di guerra contro la Fondazione del Salone del libro di Torino. E se guerra dovrà essere, ha risposto Torino, guerra sia. Ipotesi che ha fatto abbassare i toni e portato all’emersione la possibilità di date diverse per le due kermesse. La soluzione è stata valutata da Dario Franceschini come una sorta di suicidio collettivo delle case editrice e un irrimediabile danno d’immagine per l’Italia; da qui l’annuncio di una proposta conciliatoria: un’unica iniziativa nella stessa data e in due città diverse, organizzata tuttavia da un organismo che raccoglie tutte le parti in causa: l’«Associazione italiana degli editori», la «Fondazione Salone del libro», «La Fabbrica del libro», il sindaco di Milano, la sindaca di Torino, la Regione Piemonte, il ministero dell’istruzione nonché quello presieduto da Franceschini. Una proposta di mediazione, ovviamente, la cui possibilità operativa sarà verificata da qui al prossimo martedì quando tutte le parti si riuniranno nuovamente al Ministero.

Le dichiarazioni di rito alla fine della riunione hanno tutte sottolineato le spirito dell’incontro di ieri: «abbiamo condiviso e discusso la proposta del ministro e ci siamo presi del tempo per valutare e trovare una soluzione», ha dichiarato Federico Motta, presidente dell’Aie. «Non è un compromesso. È un’idea importante, interessante, positiva per provare a creare un nuovo evento che promuova la lettura e la diffusione del libro a tutti i livelli del paese», ha dichiarato il governatore piemontese Sergio Chiamparino. «Questo incontro ci ha fatto fare un passo avanti importante per un’ipotesi», ha chiosato la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini. Aderente alla sua immagine pragmatica, il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha aggiunto: «È il primo round. La decisione finale e poi l’organizzazione spetterà agli editori».

Al di là della suggestione della proposta, rimane un mistero come dovrebbe funzionare un Salone del libro che si snoda tra due città. Il riferimento obbligato è MiTo musicale. Ma se per concerti e performance la divisione geografica si traduce in iniziative distinte, difficile immaginare l’organizzazione di un Salone. Doppi stand per gli editori? oppure ogni editore deciderà la città preferita? E le presentazioni, gli incontri con gli autori, le iniziative parallele come andranno a comporre un puzzle del quale ancora oggi è ignoto il disegno? Domande alle quali il gruppo di lavoro costituito ieri al Ministero cercherà di dare una risposta. C’è da dire che se dalla suggestione non si passerà a una proposta operativa, la mediazione potrebbe diventare una gabbia capace di peggiorare la situazione già complicata. Franceschini invita a trovare al più presto la forma giuridica e operativa del suo suggerimento e il Mibact è disposto a investire nella sua proposta (l’ammontare di tali investimenti non è stato reso noto dopo la riunione di ieri), ma se gli editori non troveranno il modo per mettersi d’accordo i beni culturali continueranno a lavorare per far funzionare bene il Salone del libro di Torino, visto che il suo dicastero è entrato nel consiglio di amministrazione della Fondazione del Salone del libro.

In questo senso, la riunione di ieri più che essere stata decisiva è risultata interlocutoria. Certo, è servita per gettare acqua sul fuoco dello scontro in atto, ma da qui a considerare chiusa la querelle è un azzardo. La rottura tra gli editori e una parte di questi e gli organizzatori «storici» del Salone del libro ha fatto infatti emergere strategie, punti di vista diversi e divergenti sul come aggredire la crisi dell’editoria. E di come affrontare il processo di concentrazione oligopolistica che caratterizza il settore, dalle case editrici alla distribuzione alle vendite (è delle settimane scorse l’acquisto da parte di Feltrinelli della catena di librerie «indipendenti» Arion).

Sulla crisi del libro, i dati sono noti: calano i lettori su carta e le crescita di vendita di ebook non compensano la riduzione di libri cartacei venduti. Inoltre poca sperimentazione su autori noti e drastica riduzione delle traduzioni. Sulla concentrazione, l’effetto è una riduzione della cosiddetta «bibliodiversità»: investimenti su autori «sicuri» e omologazione tematica dei cataloghi. Trovare soluzioni a questo pessimo stato dell’arte vede su fronti opposti gli editori. I grandi vogliono consolidare le loro quote di mercato, i cosiddetti indipendenti vogliono rompere la gabbia dei monopoli, ma non hanno il potere per farlo. L’esito è duplice: sia la caduta dei fatturati, sia i libri mandati al macero perché invenduti. E una «svalorizzazione» del lavoro editoriale, stretto nella morsa di una precarietà che toglie il respiro e che fa perdere la qualità della produzione culturale.

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