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Un sistema sanitario che taglia e spreca

Tasse e ticket «Hanno rotto il patto» e cittadinanza attiva con questo slogan si mobilità contro i tickets e lancia una petizione popolare per la loro abolizione. L’allusione è al tanto chiacchierato Patto […]

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 5 maggio 2016

«Hanno rotto il patto» e cittadinanza attiva con questo slogan si mobilità contro i tickets e lancia una petizione popolare per la loro abolizione. L’allusione è al tanto chiacchierato Patto per la salute (14 luglio 2014) al quale non abbiamo mai creduto definendolo su questo giornale un «pacco« più che un «patto» e che soprattutto ai cittadini ha fatto tante promesse senza mantenerne nessuna. Anzi ha loro regalato un superticket sulla ricetta di 10 euro. La realtà nuda e cruda è che in Italia si campa meno di quello che si potrebbe campare e guarda il caso questo dato coincide con quello che registra la crescita di coloro che a causa dei ticket rinunciano alle cure (nel 2015 l’11% dei cittadini) La grande mobilitazione di cittadinanza attiva ha coinvolto 110 città del nostro paese e avrebbe meritato una complicità politica più grande soprattutto da parte dei sindacati confederali, dei pensionati e dei consumatori. Acquista quindi particolare significato l’adesione alla mobilitazione del M5S. Nel frattempo Active Citizenship Network, la rete europea di Cittadinanza attiva ha incentrato la celebrazione del decimo anniversario dell’European Patients’ Rights Day su tre punti: la salute come bene comune; lotta agli sprechi in tutti i sistemi sanitari; i cittadini, le istituzioni, le professioni ,i servizi cioè i multistakeholder come problem solvers.

Ecco il paradosso tragico: da una parte sistemi sanitari che sprecano, spendono male, non sono capaci di innovarsi, e dall’altra la risposta della politica anche di quella nostrana: tagliare sulle tutele pubbliche, definanziarle e mettere un ticket per compensare le diseconomie dei sistemi sanitari facendolo pagare ai cittadini. Ma cosa è un ticket? Cosa è uno spreco? Il primo è una tassa per definizione iniqua sui bisogni e sulle necessità cioè sulla domanda di cura, il secondo è un costo ingiustificato dell’offerta di cura che tradisce tanto i bisogni che le necessità. Ma oltre ai ticket ci sono le liste di attesa, diventate di fatto sistemi subdoli per selezionare la domanda in barba a quanto dice la nostra Costituzione. L’universalismo selettivo già oggi passa per le liste di attesa. Chi ha i soldi non aspetta in lista di attesa ma va nel privato o accede alla libera professione intra moenia. Chi resta nella lista sono i più deboli quelli che devono avere fortuna per cavarsela. Un cittadino su quattro non riesce ad avere accesso ai servizi pubblici.

La prospettiva è fosca. Anche l’ultimo Def ha confermato l’intenzione del governo di procedere con il definanziamento progressivo della sanità pubblica. Il che vuol dire che nel giro di tre anni il fabbisogno finanziario della sanità dovrà ridursi di imperio di un punto e mezzo in rapporto al Pil. Dopo i riordini regionali sulla riduzione del numero delle Usl e le misure che hanno eliminato migliaia e migliaia di posti letto, e la grande operazione di decapitalizzazione del lavoro, è la volta del taglio dei consumi. Rispetto al definanziamento del governo i ticket non bastano, non bastano le liste di attesa , il blocco del turn over il taglio dei servizi. Il cosiddetto decreto appropriatezza ha riducendo diagnostiche e terapie privatizza anche in questo caso un pezzetto di tutele. E il peggio il grosso deve ancora venire e si chiama «medicina amministrata».

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