Cultura

Un singolare «capocantiere» che ridisegna i luoghi pubblici

Un singolare «capocantiere» che ridisegna i luoghi pubbliciAurelio Galfetti, «Nuova Villa Ortensia» (corutesy Silvana editoriale

Scaffale Il libro a più voci, a cura di Franz Graf, «Aurelio Galfetti. Costruire lo spazio». Un volume che analizza la specificità della ricerca dell'architetto ticinese che nell’alta considerazione da lui posta per il mestiere e la tecnica individuò la componente complementare dei valori etici e umanistici dell’architettura

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 31 agosto 2022

Nel dicembre dello scorso anno, poco prima della scomparsa dell’architetto ticinese Aurelio Galfetti (1936-2021), l’Accademia di architettura di Mendrisio, università della Svizzera italiana, ebbe l’attenzione di rieditare a cura di Franz Graf una raccolta di saggi per ripercorrere le tappe della carriera professionale e didattica di questo singolare «capocantiere», come Galfetti amava definirsi, che pur esercitando per lo più in Svizzera la sua opera conseguì una fama internazionale come quella di altri architetti ticinesi: Luigi Snozzi, Livio Vacchini o Mario Botta, che lo volle fondatore dell’Accademia di Mendrisio e direttore dal 1996 al 2002.

CON IL TITOLO Aurelio Galfetti, Costruire lo spazio (Mendrisio Accademy Press/ Silvana Editoriale, pp. 160, euro 30) il volume, curato da Franz Graf, raccoglie i contributi, oltre che dello stesso curatore, di Nicola Navone, Laurent Stalder e Francesca Albani, i quali disegnano, secondo diverse angolature, la specificità della ricerca architettonica di Galfetti che proprio nel «costruire», ossia nell’alta considerazione da lui posta per il mestiere e la tecnica, individuò la componente complementare dei valori etici e umanistici dell’architettura.

Chissà se non sia stato proprio questo suo saldo interesse per i caratteri immanenti dell’architettura a favorire il suo interesse per la scala «territoriale» del progetto, quindi, il non considerare mai l’edificio quale episodio separato da ciò che nell’intorno lo avvalora. «Dall’Alptransit alla casa unifamiliare – afferma nell’intervista che correda il volume – per me si è sempre trattato della stessa ricerca: creare spazi pubblici o privati da realizzare in relazione a un’analisi territoriale».

GIÀ A MENDRISIO nella lunga gestazione della Nuova Villa Ortensia nell’area dell’Ospedale neuropsichiatrico (1964-1976), considera la psichiatria (quella di Franco Basaglia) un sapere che si aggiunge all’architettura per «capire la realtà che ci circonda». Sarà, tuttavia, la presenza di una collina alberata il fulcro di svariate simulazioni per ottenere la migliore posizione topografica del padiglione e consentire così il «benessere del fruitore» ottenuto con la migliore percezione del paesaggio e della luce.

Un’identica cura verso la costruzione di una relazione tra il «paesaggio lontano» (l’urbano) e il «paesaggio vicino» (l’abitare) è ciò che lo indurrà a progettare «spazi traversanti». L’idea della doppia e opposta apertura è già in nuce nella Casa Rotalinti a Bellinzona (1959-61), ma compare nel progetto non realizzato di Casa Wenger a Carona (1974) prima di configurarsi con esattezza nelle cubiche residenze «Bianco e Nero» (1984-86) a Bellinzona, più precisamente nel suo attico con davanti il Castelgrande, la fortezza i cui restauri occuparono Galfetti per un ventennio dall’inizio degli anni Ottanta.

IL SUO IMPEGNO per gli aspetti morfologici e topografici dell’architettura lo portò a occuparsi di infrastrutture: una naturale, ma non scontata conseguenza. Fu questo l’elemento che sempre lo distinse nel panorama dell’architettura ticinese orientata all’esclusiva e assidua ricerca formale dell’oggetto architettonico.

In questo senso Galfetti fu l’architetto più vicino a Rino Tami. Con lui collaborò agli inizi degli anni Sessanta per alcuni edifici dell’autostrada N2. Da quell’esperienza giovanile approdò, chiamato dal governo ticinese, all’Alpetransit, la nuova linea ferroviaria transalpina di collegamento tra Zurigo e il Canton Ticino, per la quale definì all’interno di un team interdisciplinare l’impatto ambientale che l’opera, inaugurata nel 2016, avrebbe avuto nel cantone.

OLTRE ALL’ALPETRANSIT ricadono tra i progetti delle infrastrutture non solo quelli stricto sensu della diga del lago Bianco nella Val Poschiavo (1991) e l’esecuzione della Rotonda di Piazza Castello a Locarno, ma come rilevò Jacques Lucan che bene menziona Stalder nel suo saggio, anche il Bagno di Bellinzona (1967-70) nel quale, oltre ai rimandi formali a Le Corbusier che connotano buona parte della produzione dell’architetto ticinese, si evidenzia com’è sempre l’«approccio territoriale» a distinguere la sua valenza stilistica.

Il reportage di Roberto Conte che scandisce in modo autonomo i saggi, restituisce con precisione le qualità dell’architettura di Galfetti, per lui mai compiuta, perché «la perfezione è qualcosa che sfugge continuamente», come amava ripetere, ma sempre pronto a «ricominciare daccapo» per raggiungerla.

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