Cultura

Un selvatico amico dal pedigree letterario

George Chinnery, «Uomo che tira una palla al cane», 1789George Chinnery, «Uomo che tira una palla al cane», 1789

Scaffale «Billy il cane», il nuovo romanzo di Alberto Rollo per Ponte alle grazie: il libro sarà presentato con l'autore domenica 29 presso Spaziosette a Roma

Pubblicato 15 giorni faEdizione del 25 settembre 2024

Sin dalle prime pagine di questo nuovo libro di Alberto Rollo si capisce che il suo rapporto di «tutore» («un umano di libri» lo definisce l’animale) con Billy il cane (Ponte alle grazie, pp. 192, euro 16,90), questo è il titolo, è un rapporto simbiotico ma complicato, nel mondo domestico e in quello naturale dove si alternano i loro incontri e punti di vista, ma allo stesso tempo letterario.

ANCHE TRA LE PIEGHE delle pagine, quelle della scrittura, infatti è così, lo stile quasi classico cerca una epica perduta nella lingua quanto nel mondo contemporaneo, serve all’autore a mitizzare soprattutto il portato ancestrale del piccolo animale, farci sentire la sua animistica vitalità, la selvatichezza e il riecheggiare di un bestiario canino della letteratura, a cominciare da quello potentissimo e longevo di Jack London e dell’indimenticabile Buck de Il richiamo della foresta, il Pallino «cuore di cane» di Bulgakov, o il cane borghese Bauschan di Mann.

L’OPERAZIONE letteraria è quindi riavvicinarsi a quell’antico perduto attraverso l’intonazione della lingua, il suo nominare e sentire le cose del mondo nella loro vertiginosa e rara profondità, nel ritrovare il lessico della classicità, intenzionalità che l’autore ha perseguito anche in altri suoi libri.

E il sentire di quel cane che è stato lupo, ne ha intimamente memoria ma gli è mancato il branco, diventa il motore narrativo di questa ricerca, quando spia «la bestia che viene dall’abisso del Tempo».

BILLY, IL SELVATICO, la «piccola vedetta dell’accadere» – soprannominato Garibaldi, e alla fine Generale uh – a volte appariva cupo, con le orecchie che sembravano «due pale, due radar che non si afflosciavano mai», sedeva sulla poltrona dello studio del padrone e «sfiatava malinconia tutta di naso». Subito ha mostrato confidenza con i libri: «addentò La tempesta ma poi prese a nutrire un rispetto davvero encomiabile per i libro stampato».

Quando il cane arriva nella casa milanese in quella che lui chiama «famiglia» (Rosaria «il capobranco» e i due tutori, l’autore e sua figlia Elena) scoprono il suo carattere indomito. Fingendo una «molle devozione» la bestia riconosce la guida ma non il comando, «ha a cuore la bestialità, che resti intatta», ma accetta «la logica del bastone», ed è tutt’altro che il cagnetto da compagnia che potevano aspettarsi; «sono un cane futurista: orecchie dritte puntate verso il cielo come le ali della Vittoria, un tartufo marrone e sul culo, all’attacco della coda, due spirali di pelo come fossero lì per essere centrate dalla freccia di un Cupido», si descrive spavaldo.

E nonostante la magrezza e la taglia piccola è un maschio alfa, «limpidamente un competitor», e bracchi, rottweiler, pastori maremmani, bovari bernesi, molossi, e stupidi dalmata, nessuno è immune dalla sua «ansia competitiva», quella di un animale sempre disposto «a offendere e ad attaccare».

Il temerario quando c’è aria di sfida è pronto a misurarsi, «a esibire la sua arroganza western da John Wayne». Epiche sono le sue lotte come quella con il bracco nelle acque del Magra, quando ingaggia una memorabile «battaglia senza armi» contro due pitbull su un sentiero di montagna, il suo lanciarsi contro poiane e faine, i morsi descritti in un intero capitolo.

MA È ANCHE IL FEDELE Billy, sospeso tra saggezza e pazzia, quello che, scrive l’autore: «ci ha seguito nella marcia, sotto la neve, in mezzo ai disastri della vita sociale, è stato prigioniero con noi del nostro sentimento del mondo». È iI Billy capace di una rabbia ottocentesca che l’autore riconosce come sua negli anni giovani della politica, i «cagnacci» dell’ideologia.

Alberto Rollo entra nel cuore palpitante e selvaggio, nei sensi scoperti di Billy il cane, nel suo «protendersi del muso», la «rotondità d’occhi», creando un personaggio indimenticabile, tra l’etologico e il fiabesco, la quotidianità e le scorribande nelle campagne toscane, le fughe improvvise.

Fino all’ultima e definitiva, quando ormai vecchio Billy ha voluto perdersi, «ha cercato la strada per sottrarsi e morire», obbedendo alla «chiamata antica, a un codice d’onore» per «addormentarsi altrove, chiudere gli occhi, guardare altrove, sparire».

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