Un secolo di musica, dal 1814 al 1912, dalla Sonata in mi minore op. 90 di Beethoven, di un intimismo che prelude a nuovi tempi, alla Sonata in re minore op 14 di Prokofiev, la sua seconda, che volta le spalle al secolo, o meglio, lo reinventa per aprirsi a nuove strade. Tra Beethoven e Prokofiev il Notturno in fa diesis minore op. 49 n. 2 e la Fantasia in fa minore op. 49 di Chopin e le quattro Ballate op. 10 di Brahms: Evgeny Kissin arriva a Roma dopo il trionfo di Milano per festeggiare un altro trionfo. Al pubblico osannante ha concesso tre bis, un valzer di Chopin e uno di Brahms, e una marcia dall’Amore delle tre melarance di Prokofiev. È restato dunque nell’ambito delle musiche del concerto, una sorta di esplorazione del tardo classicismo beethoveniano e del romanticismo fino all’esplosione vitalistica della modernità: Prokofiev è contemporaneo non solo per nascita di Stravinskij, Majakovskij, Blok, Esenin. C’è dell’altro. C’è qualcosa che accomuna i pianisti russi, anzi i musicisti russi, ed è il piacere quasi sensuale dello strumento – pianoforte, violino, violoncello, quartetto, orchestra. Celebrata dovunque nel mondo, la scuola pianistica russa ha nomi indimenticabili: Sviatoslav Richter, Emil Gilels, tra i sommi. Ma non meno straordinaria è la vera e propria invenzione dell’orchestra moderna: Glinka, Cajkovskij, Rimskij-Korsakov ci introducono alla percezione moderna del suono orchestrale nello stesso modo con cui Tolstoj e Dostoevskij impostano una nuova scrittura del romanzo. Un livello di intensità raggiunto grazie a doti virtuosistiche infallibili

NON È UN CASO che il francese Ravel, richiesto di pubblicare un trattato di orchestrazione, fa tradurre quello di Rimskij-Korsakov: eppure la Francia aveva il trattato di Berlioz. Di questa tradizione Evgeny Kissin è un erede consapevole: concepisce il pianoforte non come uno strumento sul quale sfoggiare la propria bravura, ma come una scatola magica dalla quale trarre suoni miracolosi, dai riverberi insospettabili. Non per esercizio di virtuosismo, bensì per sondare fino a che punto possa essere significante il suono, comunicare un’esperienza del mondo altrimenti indicibile. Sta qui, del resto, il legame sotterraneo che lega la musica russa all’impressionismo francese.
Ovvio, però, che per raggiungere questo livello di intensità espressiva bisogna possedere doti virtuosistiche infallibili. E Kissin le possiede. Ma le sottomette alla necessità di comunicare il senso di ciò che suona. La Sonata op. 90 è tra le pagine beethoveniane meno frequentate dai pianisti. Dalle dita di Kissin scaturisce un musicista irrequieto, perfino insicuro, alla ricerca di un canto intimo, tenero, capace di placare le discordie che nell’animo infligge la vita. Ecco quindi il secondo movimento sorgere come una sorta di liberazione, il suono di un Lied che sembra quasi Schubert. Questo canto lo slavo Chopin lo possiede nel profondo e lo slavo Kissin ce lo restituisce.

LA MELODIA non è solo piacere del canto, ma indagine sulle oscurità del cuore. Ecco allora le misteriose quattro ballate di Brahms, la prima quasi sinistra, l’ultima desolata. Il valzer brahmsiano concesso come bis commenterà, distaccato, questa desolazione. L’irruzione del vitalismo di Prokofiev diventa così un invito a cercare altrove, a sondare se per caso la vita sia altrimenti godibile. L’Andante insinua qualche dubbio e comunque ci suggerisce che quanto meno il dolore si può cantare. Un valzer di Chopin o di Brahms? Una marcetta ironica, come nell’Amore delle tre melarance? Ironia o canto, è una grazia degli dei che la musica possa dire anche la disperazione: con le dita di Evgeny Kissin la dice.