Ci sono le famiglie impettite che posano per offrire un ritratto da «interno borghese»; altre che si incontrano in strada o sono pronte a partire. Salotti buoni e stanze rurali. Classi agiate e contadine. Coppie primaverili che danzano all’aperto, scuole con gli alunni che diventano una coreografia astratta. E poi, arrivano i bambini: quelli che in realtà nascono – individui indipendenti e non appendici degli adulti – solo nell’800 quando l’infanzia conquista la sua stanza tutta per sé e assume un volto e una voce. L’«archivio» della storia italiana – quella piccola, domestica e quella grande, che fu scritta con il sangue delle guerre, sfila negli intrecci privati e nei patti matrimoniali stretti fra membri di una comunità

La mostra alla Biblioteca Panizzi, dal titolo Famiglie. Un mondo di relazioni, a cura di Laura Gasparini, Monica Leoni, Elisabeth Sciarretta, è allestita in maniera avvolgente, come fosse un diorama che circonda il visitatore. C’è voluto molto tempo per rintracciare nei fondi, lasciati in custodia alla biblioteca di Reggio Emilia (l’esposizione fa parte del festival di Fotografia Europea), le immagini giuste, quelle di reporter dilettanti ma con l’occhio allenato all’affetto. Così accanto alle ristampe degli originali di professionisti che hanno immortalato i riti di passaggio di molte famiglie, troviamo dagherrotipi, ferrotipi, albumine, fino ad arrivare a quegli assemblaggi di geografie sentimentali che sono gli album, rappresentazione privata, quasi diaristica, da lasciare a futura memoria. È un inventario antropologico e filologico (infine, profondamente laico) delle passioni, le gioie e i dolori di un’Italia che è cresciuta protetta in una rete di relazioni dove i circoli culturali, religiosi e spazi dedicati alla socializzazione – campi sportivi, teatri e cinema – furono i veri «topoi» della formazione di una cittadinanza, oltre ogni retorica, anche quella del fascismo.

 

CIRCUITO OFF

Il Circuito Off del festival Fotografia Europea a Reggio Emilia dissemina il caratteristico segno rosa – che funge da «testimonial» per una sicura visione – per tutta la città, con alcune aree densamente popolate di creatività (dagli androni dei portoni alle salumerie fino alle cappellerie). Sulla via Emilia sono molte le personali che si possono visitare e fra queste, presso lo spazio C21, troviamo il progetto Ergo Sum di Valerio Polici che capovolge la città illuminando a sprazzi i sotterranei, gli spazi misteriosi, i cunicoli impercorribili, i luoghi off limits. Nato come writers, figlio della controcultura metropolitana degli ultimi decenni, Polici a un certo punto della sua biografia è passato dall’altra parte: ha preso una macchina fotografica, ha studiato le sue aperture d’immaginario e ha cominciato a documentare in un lungo viaggio tra Europa e Argentina le attività (e anche le personalità) dei graffitisti. Il suo obiettivo, ci dice, si ferma sempre un momento prima, non narra pedissequamente ciò che inquadra, ma procede per ellissi, per montaggi rapidi, per tagli e allusioni. È così che accade anche quando il fotografo produce dei pezzi unici con lavorazioni antiche al platino-palladio, assai pittoriche. La galleria che l’autore propone al visitatore, qui a Reggio Emilia, è un puzzle di esplorazioni solo annunciate, una sorta di film sincopato che mette in scena una complicità con i protagonisti ma anche ua loro sparizione. Il confine su cui gioca Polici è quello dello sguardo che esce di cornice, del bilico tra visibile e invisibile. Non a caso gli scatti sono notturni, le azioni galleggiano nel tempo onirico degli «altri». La città di sopra non sa cosa succede in quella di sotto, popolata di presenze che reinventano uno stare al mondo, conquistando spazi inediti. La mostra arriva a Roma, alla galleria del Cembalo, fino al 24 maggio. (a. di ge.)