Si piange e si ride al Far East Film Festival, com’è tradizione da ventuno primavere, quando ogni anno il centro di Udine si trasforma per nove giorni nella capitale europea del cinema popolare asiatico dando il via a un vorticoso caleidoscopio di generi e di toni, tra drammi sociali e commedie romantiche, action adrenalinici e note molto «creepy» che accompagnano gli immancabili horror di mezzanotte.

CAPITA di commuoversi, alla serata inaugurale, con le immagini di Birthday, melodramma che rievoca il ricordo del naufragio del traghetto Sewol in cui hanno perso la vita più ditrecento persone nel 2014, per poi farsi trascinare, un istante dopo, nella tensione degli scontri a fuoco e dei combattimenti di Bodies at Rest, terzo thriller firmato dal regista finlandese Renny Harlin (58 minuti per morire – Die Harder, Cliffhanger – L’ultima sfida) dopo il suo trasferimento a Pechino. Una vertigine che non ha il solo scopo di assecondare il piacere filmico dello spettatore, ma anche quello di accompagnarlo alla scoperta di una realtà lontana e in continua trasformazione, che pure attraverso l’espressione artistica – il cinema – perfino nelle sue declinazioni più «pop», riferisce comunque di sé e della società che racconta.

In questo senso non può non lasciare qualche domanda aperta Birthday, opening film firmato dalla giovane Lee Jong-un e prodotto dal Lee Chang-dong di Poetry e Burning, attesissimo in patria come rito catartico volto a elaborare uno dei più sentiti traumi collettivi della storia recente della Corea del Sud. Nel naufragio del Sewol, avvenuto il 16 aprile di cinque anni fa, hanno perso la vita 304 persone, per lo più adolescenti in gita scolastica. Una tragedia nazionale passata attraverso il dolore delle famiglie di quei ragazzi che, come tutti, hanno assistito impotenti all’incidente seguendo le immagini in diretta alla televisione. 

L’AFFONDAMENTO del Sewol è ancora circondato da troppi quesiti senza risposta sulle cause dell’incidente, sulle effettive responsabilità, sulle fallimentari operazioni di soccorso. E in questi anni diversi film e documentari hanno provato a indagare sulla questione, scontrandosi regolarmente contro un muro di gomma di omissioni e silenzi. In Birthday, però, Lee Jong-un sembra non voler più cercare risposte, ma piuttosto liberare un grido di rabbia e di dolore. È dentro alla sofferenza privata, intima, di una famiglia che la regista sceglie di soggiornare.

Quella più trattenuta di Jung-il, padre di una delle vittime, rientrato in Corea dopo alcuni (difficili) anni trascorsi in Vietnam a gestire una fabbrica, e quella più esplicita e totalizzante della moglie Soon-nam, straziata al punto da non voler più avere nulla a che fare con lui, incapace di riconciliarsi con il passato così bruscamente interrotto e guardare avanti. Il tempo del film si consuma nell’attesa del compleanno del figlio morto, quella che diventerà l’occasione per celebrarne la memoria attraverso il pianto disperato di un’intera comunità.

E mentre Bodies at Rest si offre come trait d’union tra il cinema action di Hollywood e di Hong Kong, tra battute e pallottole, combattimenti, conti alla rovescia ed esplosioni che si consumano in un obitorio preso d’assalto da un gruppo di uomini armati la notte della vigilia di Natale (come accadeva in 58 minuti per morire – Die Harder e ancor prima in Trappola di cristallo), c’è anche il tempo per riscoprire alcune gemme perdute, di ritorno dal passato: in A Day Off (1968), dimenticato per 37 anni in un magazzino dopo che la censura ne aveva negato l’autorizzazione alla distribuzione, reo di un pessimismo che poco si addiceva a l’âge d’or del cinema coreano e all’immagine pubblica che si voleva offrire delle condizioni di vita nella Corea del Sud degli anni Sessanta, è facile riconoscere echi e influenze di Michelangelo Antonioni e Alain Resnais, in quella stessa dimensione di sofferenza quieta, quel silenzioso male di vivere in cui si specchia l’immagine di una società in palese affanno.

LE IMMAGINI liriche e laconiche di Lee Man-hee mostrano le difficoltà di Heo-wook e Ji-youn, una giovane coppia di innamorati senza soldi. Il loro rifugio è la strada. La vita non offre loro altra possibilità di incontro se non quella di vagare senza meta la domenica, attraversando i parchi e la città di Seul battuti dal vento. Ma Ji-youn è incinta. E senza avere i mezzi per poter immaginare un futuro, comunica a Heo-wook l’intenzione di abortire. I personaggi hanno una profondità insolitamente tragica e lo stile del film è audace e poco convenzionale. Per questo A Day Off resiste al passare del tempo e anzi, oggi, si afferma come capolavoro modernista, perfetto punto di unione tra sperimentazione estetica e critica sociale.