Un rap per il «reverendo»
«Brothers stand together and let the whole world see/Our brother Jesse Jackson go down in history», così rappava Melle Mel nel 1984 nel brano Jesse, un inno dedicato alla figura carismatica di Jesse Jackson, leader afroamericano candidato alle primarie democratiche nelle elezioni presidenziali di quell’anno. La canzone rifletteva il clima politico dell’epoca. La candidatura di Jackson, infatti, si inseriva in un contesto storico particolarmente complesso per la comunità afroamericana. Gli Stati Uniti, in quegli anni, erano attraversati da profonde tensioni sociali e razziali, aggravate dalle politiche economiche neoliberiste che avevano ulteriormente acuito le disuguaglianze. Queste dinamiche colpivano in modo sproporzionato le minoranze etniche, e la candidatura di Jackson rappresentava una sfida simbolica a quel sistema.
DISPARITÀ
La retorica del trickle-down economics, sostenuta dall’amministrazione Reagan, prometteva benefici economici per tutti. Questo approccio, basato sull’idea che agevolazioni fiscali e incentivi ai ricchi e alle grandi imprese avrebbero generato ricadute positive anche sulle fasce più povere della popolazione, nella pratica, portò a una crescente disparità di reddito e opportunità, specialmente per gli afroamericani, che affrontavano un mercato del lavoro in rapido cambiamento e discriminazione sistemica. In questo clima di crisi, Jackson, attivista di lungo corso ed ex protetto di Martin Luther King Jr., si presentò come candidato alla nomination democratica, promettendo di portare avanti una visione di giustizia sociale, uguaglianza e lotta contro la povertà. Jackson non fu il primo candidato nero alla presidenza: Shirley Chisholm, la prima donna afroamericana eletta al Congresso, si era candidata alle primarie democratiche del 1972, ma all’epoca l’hip hop non era ancora nato.
Il suo approccio politico si fondava sulla creazione della Rainbow Coalition, un’iniziativa che cercava di unire diversi gruppi etnici e minoritari sotto un’unica bandiera, rompendo le dinamiche tradizionali con l’establishment democratico. Jackson mirava a costruire un movimento inclusivo che facesse sentire le voci di tutte le comunità emarginate, sfidando le convenzioni politiche che spesso relegavano gli afroamericani ai margini. Attraverso la Rainbow Coalition, Jackson incoraggiò un dialogo interetnico e intergenerazionale, riconoscendo che le lotte per i diritti civili, la giustizia sociale, i diritti dei lavoratori e quelli delle donne fossero interconnesse. Questo tentativo di ampliare la base di supporto e unire diverse lotte sociali rappresentava un vero cambio di paradigma, un segnale che la politica dovesse ascoltare le richieste provenienti da movimenti di base.
In un periodo di crescente consapevolezza sociale e politica, la comunità hip hop iniziò a comprendere il potenziale della musica come veicolo di attivismo e cambiamento. Jesse, il brano di Grandmaster Melle Mel, è un esempio chiaro di questo ruolo emergente. Dopo aver aperto la strada nel 1982 con The Message (Grandmaster Flash and the Furious Five) – il primo brano rap a trattare apertamente temi sociali come povertà e disuguaglianza – Melle Mel tornava con un messaggio ancora più diretto in Jesse. Questa volta il focus si spostava dal racconto delle difficoltà quotidiane al sostegno per una figura politica concreta, Jesse Jackson, e la sua candidatura presidenziale. Le liriche, come «he’s a man who can help us all», riflettevano la speranza di un cambiamento tangibile per la comunità afroamericana e le altre minoranze.
Questo brano segna un’importante convergenza tra cultura hip hop e politica, dimostrando come la musica potesse fungere da catalizzatore del cambiamento sociale. Melle Mel, con il suo stile incisivo e provocatorio, utilizza le rime per affrontare non solo le ingiustizie razziali, ma anche l’ipocrisia all’interno della comunità nera e nel partito democratico. La rima «hypocrites and Uncle Toms are talkin’ trash (let’s talk about Jesse)» non lascia spazio all’equivoco: Melle Mel sta denunciando gli opportunisti e i traditori che, anziché sostenere la lotta per i diritti civili, si schierano dalla parte di un sistema che continua a marginalizzare le loro comunità. L’uso del termine «Uncle Tom» evoca una figura storica di sottomissione, creando un forte contrasto con l’ideale di leadership rappresentato da Jackson. La richiesta di «parlare di Jesse» diventa così un invito a rivalutare le vere aspirazioni della comunità afroamericana, sottolineando la necessità di leader autentici.
In un contesto nel quale la disuguaglianza era sempre più evidente, un’altra rima che colpisce è: «See Ronald Reagan speakin’ on TV/Smilin’ like everything’s fine and dandy/Sounded real good when he tried to give a pep talk/To over 30 million poor people like me». Qui Melle Mel non solo critica la superficialità delle politiche reaganiane, ma sottolinea anche il divario tra la retorica politica e la realtà quotidiana delle persone. La descrizione di Reagan che sorride mentre ignora le difficoltà delle comunità povere evidenzia l’ipocrisia di un presidente che, mentre si rivolge a milioni di americani in difficoltà, sembra completamente disconnesso dalla loro realtà.
CROCEVIA
Anche la base della canzone è particolarmente interessante, segnando un punto di svolta sia per Grandmaster Flash sia per Melle Mel. Sebbene il brano sia accreditato a entrambi, Flash in realtà non contribuì direttamente alla produzione, poiché al tempo aveva già lasciato la formazione. Dopo la separazione, Melle Mel prese in mano le redini del gruppo, collaborando principalmente con Duke Bootee e altri produttori legati all’etichetta Sugar Hill Records. Dal punto di vista della costruzione del beat, il pezzo è caratterizzato da un sound tipico della prima metà degli anni Ottanta, con sintetizzatori prominenti, drum machine e bassi incisivi, molto in linea con il sound electro che stava emergendo in quel periodo. La produzione è meno legata al campionamento di breakbeat e alla manipolazione del vinile, marchi di fabbrica di Flash, e più focalizzata su un approccio elettronico che rifletteva anche l’evoluzione della tecnologia musicale dell’epoca.
Questo periodo rappresentò un crocevia di idee e aspirazioni che diedero vita a una nuova era in cui rap e politica si intrecciavano in modi inediti, stimolando un dialogo urgente su giustizia sociale e razzismo. La campagna di Jackson, purtroppo, non portò al risultato sperato, ma la sua influenza perdurò nel tempo. La canzone Jesse è un simbolo di quel periodo, sottolineando l’importanza di unire le forze e utilizzare la musica per dare voce a aspirazioni collettive. Il sostegno della comunità hip hop durante le elezioni del 1984 segnò l’inizio di un dialogo che tuttora continua a plasmare la politica e la cultura negli Stati Uniti.
Dopo l’omaggio a Jesse Jackson nel 1984, ci sarebbero voluti più di vent’anni prima che l’hip hop sostenesse apertamente un altro candidato afroamericano alla presidenza. Nel 2008, con l’ascesa di Obama, artisti come Jay-Z, Nas e will.i.am diedero voce alla campagna attraverso la musica, canalizzando nuovamente le aspirazioni politiche della comunità. Questo ritorno al supporto per un candidato nero alla presidenza riaffermava l’hip hop come un megafono potente per il cambiamento. Come rappava Melle Mel: «When I say Jesse, you say Jackson/Jesse, Jackson, workin’, hard together… we can make a greater nation». Un messaggio che due decenni dopo, con Obama, trovò finalmente una realizzazione concreta.
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