Un racconto teatrale sulla natura demoniaca del potere
Scaffale «Baruch l’infernale» di Piero Bevilacqua, per Castelvecchi. Quattro atti, scanditi dal ritmo di due scene, che attraversano il tempo del 1600 e lo spazio delle Sette province unite dell’Olanda e che, al contempo, li travalicano, per finire inevitabilmente a farsi discorso sull’uomo
Scaffale «Baruch l’infernale» di Piero Bevilacqua, per Castelvecchi. Quattro atti, scanditi dal ritmo di due scene, che attraversano il tempo del 1600 e lo spazio delle Sette province unite dell’Olanda e che, al contempo, li travalicano, per finire inevitabilmente a farsi discorso sull’uomo
Capita spesso a molti cercatori della gioia di conversare con Baruch Spinoza, attorno a un tavolo di legno, chiedendo al suo candore un aiuto per capire il mondo. Di questi dialoghi Piero Bevilacqua ne ha fatto un racconto teatrale, Baruch l’infernale. Spinoza e la democrazia degli uguali, edito dai tipi di Castelvecchi per la collana Cahiers (pp. 80, euro 13,50). Quattro atti, scanditi dal ritmo di due scene, che attraversano il tempo del 1600 e lo spazio delle Sette province unite dell’Olanda e che, al contempo, li travalicano, per finire inevitabilmente a farsi discorso sull’uomo.
DI SICURO quella di Spinoza è una vita esemplare. Indagarla regala sempre l’altezza di un ragionamento sulla natura demoniaca dell’autorità, sulla reazione scomposta e feroce che il potere ha quando vede apparire all’orizzonte un uomo libero. L’architettura del libro si basa su una serie di dialoghi tra un gruppo di amici resistenti al pensiero unico religioso nella Amsterdam dei loro giorni come nella Spagna dell’Inquisizione, di cui si tratteggia la caricatura grottesca, ricordando l’insensatezza di una monarchia alle prese con l’imposizione del battesimo (cosa faremo delle case lasciate vuote? Chiede il re alla regina Isabella) e la conquista di un nuovo mondo (Colombo vuole altre navi, che impudenza!). e che incarna l’oscenità di ogni colonialismo, dalle occupazioni delle terre a quelle delle coscienze.
MA IL DISCORSO nel dialogo si fa più profondo e tira in ballo la responsabilità intima del nostro involontario collaborazionismo: «È tragico Baruch, difficile da sopportare – dice l’amico Adrian – Noi non siamo che i rampolli della borghesia commerciale delle Sette province unite. La razionalità trionfante del colonialismo europeo, quello della bussola e dei portolani, è la stessa che a noi consente di scorgere le menzogne della religione, di svelare il monopolio del potere ecclesiastico e regale, di urlare veramente contro le ingiustizie del mondo. Scriviamo pagine di verità grazie al sangue degli ultimi».
LA POSSIBILITÀ di questo conversare è data dalla philia che unisce i personaggi, declinatura altissima di quell’affectus che Spinoza mette a motore degli infiniti mondi che frequentarono anche Giordano Bruno e Tommaso Campanella, perseguitati, non a caso, con la stessa ottusa ferocia. Trova dio nei loro volti il protagonista Baruch, toglie a dio il volto burbero della punizione, per farne strumento d’amore contro la paura e non di paura contro l’amore.
Discorsi sul cuore dell’uomo che non abita solo la trascendenza, ma si fa carne in un sistema di giusti. Qui Bevilacqua secolarizza il discorso, parla di democrazia e populismo. Fa dire al filosofo che la inaffidabilità del popolo (e la crisi della democrazia) non dipende da una intrinseca indisposizione al giusto (l’argomento degli elitisti) ma dallo stato della miseria, perché chi è «tutto il tempo al servizio di un inflessibile padrone: il bisogno, la fame» sfugge peggio alle trappole della rassegnazione e del rancore, del terrore che immobilizza, ovvero le passioni tristi del nostro tempo razzista e distruttivo.
SI FA FATICA a non sentire tutti quelli che nella filosofia spinozista hanno trovato la loro casa. Come Deleuze e la sua necessità di divenire rivoluzionari anche se le rivoluzioni falliscono, perché l’uso che facciamo della vita è la goccia di splendore da consegnare all’eterno, per dirlo con le parole di una canzone di De Andrè. All’editore Jan che gli chiede se non si siano solo utopie, risponde Baruch: «Amici, non si tratta di fede, ma delle possibilità che abbiamo davanti».
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