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Un piccolo porro, o un neo

Divano La rubrica settimanale a cura di Alberto Olivetti

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 15 dicembre 2017

Rivolto al personaggio dell’imperatore Carlo V che lo accoglie presso la sua corte, Christopher Marlowe (1564-1593) fa dire al suo Dottor Faust: «Se piace a vostra altezza, il dottore è pronto con la forza della sua arte a operare incanti che trapasseranno le porte d’avorio dell’inferno e strapperanno le furie implacabili dai loro antri, per eseguire tutto ciò che vostra grazia comanda». E allora Carlo chiede a Faust di incontrare e poter ammirare nel loro reale e veritiero aspetto, in tutta la loro maestà «il famoso conquistatore Alessandro il Grande e la sua amante», dinanzi a lui, nella loro assoluta perfezione.

Faust si appresta a render presenti Alessandro e «la sua bella amante». Avverte però l’imperatore: «Quando i miei spiriti presentano (when my Spirits present) quelle regali figure, vostra grazia non deve fare al re nessuna domanda, ma li lasci venire e andarsene in silenzio (but in dumbe silence let them come and goe)». Ed ecco l’imperatore e i suoi duchi, Saxony e il duca e la duchessa di Vanholt, e i cortigiani farsi quali silenziosi spettatori a teatro. Si apre la scena: tra acuti squilli di trombe e infiniti tamburi che rullano, tra vapori rossastri e bigi, entrano dagli opposti lati del proscenio Alessandro e Dario. Abbigliati nei loro paramenti guerreschi, lucenti corazze e pennacchi e ricchi damaschi il persiano. Inizia la battaglia. Lance e spade brillano di corrusche luci, grida furiose nei ranghi. E ora che Alessandro abbatte Dario e gli toglie la corona balenano lampi, e barbagli illuminano l’ingresso della donna bellissima. Leggere sete sgargianti frusciano, appena sollevate nel suo danzante incedere verso Alessandro. Il re vincitore l’abbraccia e la incorona del diadema dello sconfitto Dario che giace, immobile, a terra. Alessandro e la donna si rivolgono con un cenno di saluto verso l’imperatore. Carlo si alza dal trono, si protende, vorrebbe abbracciarli, stringersi a loro di regale commozione.

Faust lo trattiene. E, mentre cessano le trombe di squillare e i tamburi tacciono, si sente salire da lontano una musica quando Faust si rivolge premuroso all’imperatore: «Mio grazioso signore, tu dimentichi te stesso, sono soltanto ombre, non sostanze (My gracious Lord, you doe forget your selfe,/These are but shadowes, not substantiall)». Carlo si scusa.

Vedere Alessandro ha rapito tutti i suoi pensieri fino a perdere, dice, ogni altra cognizione. Ma, se non può toccare né far domande ai due astanti, può tuttavia chiedere a Faust di esaudire una sua curiosità. «Si dice che questa bella donna quando viveva sulla terra, aveva sul collo un piccolo porro, o un neo. Potrei constatare se è vero?». Faust lo autorizza e Carlo: «Lo vedo perfettamente Faust, e a vederlo mi hai dato più piacere che se avessi conquistato un altro regno». Non si dà un unico registro attenendosi al quale sia possibile dar conto in modo piano della figura di Faust, un bandolo maggiore ed esauriente riguardo alla complessa trama di diversificate e non sempre conciliabili istanze, declinazioni, questioni, implicazioni e maniere che fanno del personaggio di Faust, dei suoi caratteri e della sua vicenda un riferimento tematico costante nella coscienza europea dal Cinquecento ad oggi, da Marlowe a Goethe a Mann. Franco Fortini, introducendo la sua traduzione del Faust goethiano, ricorre «alla vecchia immagine della montagna», parla di «sistema orografico» e constata che «ne scorrono fiumi ancora nostri». Ho riportato una delle scene celebri e capitali del Doctor Faustus di Marlowe perché obbliga il lettore alla antica domanda. Può essere formulata così: è la pratica dell’arte intesa come virtù di rappresentare per evocazione e capacità (necessità) di dar forma in figura che determina la ‘dannata’ condizione di Faust (così che “where we are is hell”, l’inferno è dove siamo)? Essa lo tiene lungo il crinale che fissa le congiunzioni del vero e del falso, del giusto e dell’ingiusto. Sommità sulla quale attestare sostanziale e apparente a farne, della loro giuntura, opera d’arte.
Così il neo nella bellezza dell’amante di Alessandro equivale al possesso di un regno assoluto, vero e durevole, a detta dell’imperatore, più del potere che gli riconosce il mondo.

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