Il fatto che Edgar Morin, autentico e insostituibile maître à penser di questo lungo secolo, levi oggi, a 101 anni compiuti, la sua voce in un allarmato appello contro la guerra e le sue devastazioni sempre più irrevocabili, costituisce la prova della forza morale, lucida e intatta, di un abito intellettuale sempre attento alle derive, forse esiziali, che segnano da tempo il destino dell’umanità.

NEL SUO NUOVO LIBRO, Di guerra in guerra. Dal 1940 all’Ucraina invasa, edito da Raffaello Cortina (prefazione Mauro Ceruti, pp.104, euro 12), in chiave autobiografica e autocritica il grande pensatore francese offre al mondo della cultura e della politica la propria meditazione sull’impressionante continuità del conflitto, ogni volta di forma inedita e sempre più distruttiva, che ha tragicamente contrappuntato l’intera vicenda storica di un’epoca che, ipocritamente, si legge come di pace, di libertà e di democrazia.
Dall’ultima Guerra mondiale (riconosciuta), alla quale ha partecipato in Francia e in Germania, come dirigente politico-militare della Resistenza, al conflitto che oggi travolge l’Ucraina e minaccia la stabilità civile dell’Europa, il racconto di Morin trasporta in modo stringente il lettore in un lungo percorso di orrori, distruzioni, crimini e sofferenza che sembra ancora costituire la cifra inamovibile della civiltà contemporanea e, insieme, il prezzo terribile del suo progresso e del sistema di idee che lo produce. L’orrore e il ribrezzo morale per Auschwitz e per il contesto di infame oppressione nazi-fascista che l’ha generato, ci dice, non possono cancellare l’analogo ripudio e terrore dei bombardamenti anglo-americani delle inermi popolazioni civili, con la loro irrevocabile ed esiziale akmé della bomba di Hiroshima.

IL CAMPO DI STERMINIO e la bomba nucleare non si contrappongono, ma sono insieme a ricordarci che l’umanità vive da allora alla temperatura della propria autodistruzione e i modelli di pensiero lineari e oppositivi ai quali siamo ancora soggetti ci rendono incapaci di valutare i contesti di reazione complessa in cui ogni azione umana si inserisce: l’antico assioma latino del si vis pacem para bellum, lungi dal manifestare la propria improponiblità nel mondo globale e nucleare di oggi, continua a farci credere che le guerre si possano fermare soltanto vincendole.
Per la valenza complementare di questo ragionamento, Morin non assolve nessuna delle parti in gioco e neppure assolve sé stesso. Anzi, «con la sua singolare capacità di concepire l’umano», si espone direttamente e con piena onestà al lettore – scrive in prefazione Mauro Ceruti – in un «esercizio di auto-osservazione diventa così il laboratorio di un pensiero complesso, teso a cercare in sé stesso, prima ancora che negli altri, l’origine ricorrente dell’errore, dell’illusione e della menzogna».
Ne viene l’invocazione a un credibile percorso di speranza che si può originare soltanto in un profondo cambiamento del nostro modo di pensare. «Durante tutto questo lungo periodo di ottant’anni, ho potuto verificare la pertinenza di ciò che ho chiamato l’ecologia dell’azione: ogni azione entra in un gioco di interazioni e di retroazioni che possono modificare il senso dell’azione, se non invertirla, e farla ricadere sulla testa del suo autore»: per tali ragioni, anche una guerra di difesa, condotta per inibire l’estensione e la radicalizzazione di un’opposta guerra d’aggressione, può innescare processi interattivi incontrollati a livello globale con conseguenze che non sarà facile dominare ed evitare.
Ed è davvero sorprendente, riflette ancora Morin, che in un contesto così esasperato e pericoloso non si levino che pochissime voci, in Europa, a favore della pace e che queste vengano per giunta tacciate di insipienza politica, di filo-putinismo o addirittura di volontà ignominiosa e complice di capitolazione, quasi il non voler fare la guerra non fosse l’unica politica capace di fermarla.

E DOPO AVER PERSINO tracciato le linee di una possibile e praticabile negoziazione della pace, Edgar Morin conclude il suo racconto ribadendone l’immediata necessità: «L’Urgenza è grande: questa guerra provoca una crisi considerevole che aggrava e aggraverà tutte le altre enormi crisi del secolo subite dall’umanità, come la crisi ecologica, la crisi della civiltà, la crisi del pensiero. Che a loro volta aggravano e aggraveranno la crisi e i mali nati da questa guerra. Più la guerra si aggrava, più la pace è difficile e più è urgente. Evitiamo una guerra mondiale. Sarebbe peggio della precedente».