Politica

Un Pd popolare e nazionale. E un nuovo centrosinistra

Un Pd popolare e nazionale. E un nuovo centrosinistraGianni Cuperlo, deputato Pd, candidato segretario al congresso

Intervista Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria Pd. «Non siamo stati credibili. A congresso ne discuteremo». «Leali con il governo, ma è un’eccezione. Non mi rassegno alla rottura dell’alleanza, dobbiamo ricostruire un campo largo di fiducia con il paese». «Mai più porcellum, piccoli correttivi non bastano»

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 24 maggio 2013

«Sulla legge elettorale abbiamo un imperativo categorico, ormai persino morale: non tornare mai più al voto con il porcellum. Per questo il parlamento deve affrontare la riforma come una priorità. Apportare correttivi di superficie rischia di lasciare inevaso il tema di fondo: la nuova legge deve garantire per un verso la governabilità, cioè essere in grado di esprimere una maggioranza politica che possa governare il paese; per altro verso, deve restituire agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Detto questo, è giusto che il parlamento trovi la soluzione più condivisa. E mi auguro che sulla legge elettorale la maggioranza sia più ampia di quella che sostiene il governo». Parla Gianni Cuperlo, 52 anni, triestino, il segretario della Fgci che ha trasformato nella Sinistra giovanile del Pds. Deputato, saggista, poco propenso alle semplificazioni mediatiche,è candidato al congresso Pd.

Il governo aveva tentato l’accordo su una modifica del porcellum.
Noi non possiamo limitarci a una correzione di dettaglio. Questa legge ha rivelato limiti che sono una delle cause, certo non l’unica, della crisi della democrazia e della rappresentanza in Italia. Capisco chi dice che la legge elettorale deve corrispondere alla forma di governo che si sceglie. Ma oggi non possiamo correre il rischio di tornare a votare con il porcellum. Sarebbe irricevibile.

Dalla legge elettorale dipendono anche le alleanze. Lei ha detto: ’Fuori dal centrosinistra il Pd non ha senso’. Alle prossime politiche ci sarà un nuovo centrosinistra?

Sì, e non voglio neanche pensare che non sia così. Siamo arrivati al sostegno di questo governo con il percorso che conosciamo. Avevamo proposto l’alleanza «Italia bene comune», ma nella sfida di febbraio abbiamo subìto una sconfitta. Dopo il voto, Bersani ha giustamente fatto il tentativo di non sciupare l’occasione del nuovo parlamento, il più rinnovato, ringiovanito, femminile e laico della storia repubblicana. Tutti sappiamo le ragioni che ne hanno impedito il successo. A questo punto, dopo gli errori compiuti, prima su Franco Marini e poi su Romano Prodi, e dopo il discorso drammatico del presidente della Repubblica alle camere, l’alternativa non era fra fare un governo o votare, ma fra fare un governo o lasciare incancrenire i problemi di milioni di famiglie, di lavoratori. Il nostro sostegno leale e autonomo al governo Letta ha però un carattere di eccezionalità ed emergenza. L’esecutivo deve fare alcune cose, provvedimenti economici e sociali urgenti per dare un po’ di ossigeno alla parte del paese che soffre la crisi in una forma micidiale – l’ultimo rapporto dell’Istat dà un quadro allarmante – e incardinare riforme che consentano di ricostruire un rapporto positivo fra i cittadini e la democrazia. Contemporaneamente dobbiamo ricostruire un campo largo del centrosinistra, non solo alternativo alla destra, ma competitivo per il governo del paese. Io non mi rassegno alla frattura con la sinistra e con un pezzo importante di società italiana, di movimenti, del civismo, del diritto, della moralità. Questo campo di forze va ricomposto per offrire al paese una seconda chance. E dobbiamo farlo con radicalità, con coraggio, per riconoscere i limiti che ci hanno impedito di risultare convincenti. Il congresso del Pd deve servire essenzialmente a questo.

Nei paesi in cui è andata al governo una ’grossa coalizione’, per lo più sono scomparse le alleanze a sinistra. In Italia non andrà così?

In Germania la grossa coalizione è stata realizzata due volte, e oggi non è al governo. E in ogni caso qui da noi l’alleanza con Sel l’abbiamo già sperimentata. Sul piano locale, per esempio, in tantissime realtà: penso alla Puglia, dove Nichi Vendola è presidente di una regione che ha fatto enormi passi in avanti con il centrosinistra. Non vorrei che trasformassimo in un confronto ideologico quello che dev’essere un confronto politico, culturale e programmatico. L’esperienza di questi anni ci dice che esiste un larghissimo terreno di condivisione. Che naturalmente va definito, profilato e approfondito. Ma non credo nella logica del divorzio irreparabile. Mi ostino caparbiamente a credere nel contrario, a volere il contrario.

Parlava degli errori sull’elezione del capo dello stato. Non avete archiviato troppo in fretta quei 101 voti di franchi tiratori che hanno spostato a destra il governo?

La consapevolezza del danno prodotto è assolutamente presente nei gruppi parlamentari del Pd e nella sua base. Basta andare nei circoli per cogliere quanto sia una ferita aperta. Quelle vicende drammatiche hanno dato il segno di un partito che non era in grado di sostenere le decisioni che assumeva. Ma non c’è stata nessuna volontà che precostituiva lo sbocco politico del governo con il centrodestra. Anche la vicenda di Marini non va rimossa: la direzione aveva votato all’unanimità un mandato pieno al segretario per tentare una condivisione ampia su un nome di garanzia al Colle. E di fronte al nome di Marini, esponente autorevole del Pd, abbiamo assistito già al voto di un partito che non era in grado di mantenere la parola. A questo si sono sommati altri errori. Io per esempio avrei preferito che nella rosa dei nostri nomi vi fosse anche Stefano Rodotà. Poi siamo passati a Prodi: che però era il nome che qualche giorno prima Berlusconi aveva dichiarato irricevibile. Non siamo stati credibili. Oggi non mi interessa tanto scoprire chi siano stati quei 101. Compito della politica è capire perché siamo arrivati a quel collasso. Dobbiamo riflettere, per evitare che succeda in futuro e per ricostruire un rapporto più sereno nel gruppo dirigente sul terreno delle regole condivise.

Civati, altro candidato al congresso, dice che Berlusconi dev’essere eleggibile perché diversamente cadrebbe il governo. È così?

Ma no. E c’è qualcosa di stonato tra l’agenda della politica di oggi e il fatto che invece dovremmo essere alla prese con temi che investono come un tornado questo paese, che rischia di non reggere all’urto della crisi più devastante degli ultimi anni. Dalla sinistra europea arrivano segnali fondamentali. Il presidente Hollande ha fatto un discorso storico, un investimento che la Francia non aveva mai fatto nel processo di integrazione politica dell’Europa. E poi le riflessioni che arrivano da Lipsia, dall’appuntamento dell’Spd, sul rilancio della critica a un modello di sviluppo, a un capitalismo finanziario che ha finito per dominare l’economia reale ma anche i diritti e le libertà degli individui: temi che riguardano le prospettive del mondo, oltreché dell’Europa. Di fronte a tutto questo, noi ci chiediamo se la giunta delle elezioni del senato deve votare in ragione di una legge del ’57 dopo che per tre volte il parlamento, a torto o a ragione, ha dichiarato Berlusconi eleggibile. Il buon senso ci dice che i nodi politici di fondo del paese non si possono risolvere attraverso procedure regolamentari. Né quello di una destra non europea segnata dall’egemonia mediatica di questo suo tycoon, né quello di un movimento anch’esso anomalo come l’M5S. Si deve mettere in campo un’iniziativa politica, parlo del ruolo del Pd, perché il paese torni a fidarsi di noi e nella possibilità dell’alternativa che non abbiamo realizzato fin qui.

Se diventerà segretario, quale sarà il suo Pd?

Un grande partito popolare e nazionale che riscopre il senso della sua identità, e si concentra molto meno sul potere e molto di più sulle persone e sulle idee.

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