Economia

Un nuovo ministro per 150 tavoli di crisi

Un nuovo ministro per 150 tavoli di crisiIl neo ministro dello Sviluppo Carlo Calenda

Sviluppo economico Carlo Calenda ha giurato al Quirinale. Da Almaviva all’Alcoa, passando per l’Ilva: migliaia di lavoratori in attesa di risposte. La Cgil: «Basta mettere solo pezze alle emergenze, il governo elabori una politica industriale»

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 11 maggio 2016

Una diffida delle associazioni no Triv per 61 concessioni estrattive scadute ma ancora attive; norme e disegni di legge come quelli sulla concorrenza, l’Rc auto, le farmacie. Il dossier Ilva, le vertenze dei call center, e ben 150 tavoli di crisi già aperti che lo aspettano al dicastero. Il neoministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha giurato ieri pomeriggio al Quirinale e ha già l’agenda piena di questioni spinose e che interessano migliaia di cittadini e lavoratori. Succede, come è noto, a Federica Guidi, che si è dimessa a inizio aprile dopo la scandalo legato alle trivelle di “Tempa Rossa”.

Il nuovo ministro ha certamente una sua personalità e posizioni ben precise: sul Ttip, ad esempio, il trattato transatlantico contestato sabato scorso da associazioni, sindacati e movimenti, ha espresso fin dall’inizio un deciso apprezzamento. L’anno scorso lo ha definito «un contributo alla stabilità», «a una globalizzazione più equilibrata e più regolata».

Calenda piace molto al premier Matteo Renzi, così come negli anni passati era piaciuto prima a Luca Cordero di Montezemolo (che lo aveva assoldato come assistente nella sua esperienza da presidente di Confindustria), a Mario Monti (che lo aveva candidato con Scelta civica, senza fortuna), e poi al presidente Enrico Letta, che lo aveva nominato viceministro allo Sviluppo economico. Renzi lo conferma, ma poi nel gennaio scorso decide di inviarlo a Bruxelles come rappresentante del governo: mossa che provoca la stizzita reazione di oltre 200 diplomatici, che scrivono al premier, spiegando di preferire, come da tradizione, un loro collega a ricoprire quel ruolo.

Concentrandoci sui tavoli di crisi, e sulle attese di tante persone rispetto al ministero, c’è sicuramente da ricordare una vertenza di cui si discute molto in questi giorni: Almaviva. Imparentate a questa, almeno altre due crisi che riguardano il settore dei call center: Gepin e Uptime. Circa 3600 posti a rischio, con 2988 lettere di licenziamento di Almaviva pronte a partire già dal 4 giugno se i ministri Calenda e Poletti non individueranno delle soluzioni. Non solo è necessario vigilare sul rispetto della norma 24 bis anti-delocalizzazioni, ma al governo si chiede di fare in modo che grossi gruppi a controllo pubblico – come Enel e Poste – assegnino commesse con tariffe rispettose di tutele e contratti. Calenda, che ha mostrato di apprezzare il modello «regolatorio» del Ttip, dovrà fare uno sforzo in più?

Dalla Cgil è il responsabile Politiche industriali, Salvatore Barone, a tracciare il quadro di alcune crisi aperte al tavolo del Mise. «Innanzitutto c’è la questione Ilva – spiega – In audizione alla Camera abbiamo chiesto di avere un confronto preventivo sui criteri per la cessione. La fase delle offerte si chiude a fine maggio, ma alcune come quella di Arcelor-Mittal ci lasciano perplessi, perché si rischia di prefigurare uno “spezzatino”, di non valorizzare il gruppo e l’occupazione. Riteniamo sia necessario l’intervento della Cassa depositi e prestiti, insieme a soggetti privati, perché nei prossimi anni serviranno molti investimenti sul lavoro e sull’ambiente».

La Cgil ricorda anche la vertenza Piaggio Aerospazio, con la necessità che il piano industriale garantisca innanzitutto la sostenibilità finanziaria e la continuità degli stipendi. Ci sono poi casi “sedimentati” nel tempo, come Alcoa e Eurallumina, gruppi presenti in un territorio difficile come quello sardo. Il primo maggio una delegazione in caschetto è stata ricevuta da Renzi: non solo gli impianti sono fermi da 5 anni, ma c’è l’emergenza per gli ammortizzatori sociali, già esauriti soprattutto nell’indotto.

Di difficile soluzione anche il nodo Italcementi, azienda storica e vero fiore all’occhiello dell’edilizia italiana ma a rischio di pesanti tagli (650 esuberi già annunciati) dopo la recente acquisizione da parte della tedesca Heidelberg dal gruppo Pesenti.

Dalla galassia ex Fiat è ancora senza futuro la Irisbus di Avellino, mentre a Termini Imerese sono entrati i primi 20 dipendenti: in attesa che tutti vengano riassorbiti. Barone della Cgil segnala poi le «nove aree di crisi complessa» (Taranto, Trieste, Rieti, Val Vibrata, Venafro, Gela, Piombino, Livorno, Termini Imerese) da monitorare e seguire, ricordando infine che «più che le pezze da mettere a posteriori, servirebbe una politica industriale nazionale, con investimenti e innovazione, da anni assente nel nostro Paese»

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento