Cultura

Un nichilista a metà

Un nichilista a metà

Filosofia «Nietzsche» di Karl Jaspers, per Mursia

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 24 novembre 2016

A ottant’anni dalla prima edizione e a venti dalla traduzione italiana di Luigi Rustichelli, il Nietzsche di Karl Jaspers (Mursia, pp. 450, euro 32) continua a interrogarci sulla morte di Dio e sul destino dell’uomo.
Viandante infaticabile e sensibile alle conversazioni di alta qualità, Nietzsche ama la musica ma ignora il brivido dell’amore. Nessuno riesce a capirlo. La follia degli ultimi anni incorona un disagio esistenziale comunicato più volte alla sorella, e il legame con il filologo Erwin Rohde si interrompe in modo brusco. Entrambi disprezzano la società in cui vivono, anche se Nietzsche si mostra più coerente. Rohde, nel 1876, decide di sposarsi e aderisce al «buon senso» liberale. Nietzsche non cede perché vuole stravolgere le regole, svalutare i valori, isolarsi per riscoprirsi. Rohde lo abbandona. Un’altra e più forte delusione giunge più o meno nello stesso periodo. Richard Wagner, il genio dell’epoca, legge Umano, troppo umano e ne prende le distanze.

Nietzsche, secondo Jaspers, si rivela un nichilista a metà. Onesto fino in fondo con le sue inguaribili antinomie, al pari di Spinoza nega l’ordine morale del mondo e riconduce tutto il peso della libertà all’immagine naturale dell’uomo. La sua idea di libertà, suggerisce lo psichiatra tedesco, ha un contenuto negativo in quanto tende a liquidare il passato (fede, patria, genitori, amici) e quel ritmo che offusca la cifra originaria dell’individuo. La libertà, però, deve assumere anche un significato positivo, deve cioè inventare qualcosa di più grande rispetto alla morale precostituita. E così la verità dell’Occidente si traduce in una «menzogna universale», il cristianesimo nella «vittoria dei malriusciti», l’ideale della giustizia nell’esibizione compassionevole dei deboli, la democrazia e il socialismo rappresentano il trionfo della mediocrità.
Subentra di rado, per il Nietzsche di Jaspers, una timida reazione «aristocratica» da parte di chi intende dileguarsi dalla crisi epocale. Qualcuno riesce infatti a resistere, come Beethoven e Goethe: anime superiori che tentano di sfuggire al contagio. Solo che le figure eccezionali soffrono per se stessi e non ancora «per l’uomo». L’individuo superiore è incastrato nella storia egoistica e viene trascinato dalle onde borghesi. Jaspers definisce il celebre passaggio nietzscheano dall’«uomo superiore» al «superuomo» come l’inesauribile movimento di chi ripudia la lezione millenaria del senso e vuole raggiungere il suo inconfondibile amor fati.

Adottando gli strumenti concettuali di Jaspers, si potrebbe dire che l’«uomo superiore» è avvinghiato nelle logiche del suo «esserci», della sua datità psicologica, sociologica e fisiologica, e perciò non riesce a scavare nella sua Existenz. L’«uomo superiore», in altri termini, non è adatto a esprimere un Sì convinto alla vita perché non è ancora un «fanciullo innocente». Con un occhio osserva la sua interiorità, con l’altro non rinuncia alle sentenze imposte dalle «scimmie» di Zarathustra, e la sua insicurezza si riallaccia al pericolo della tradizione e al rumore anonimo della folla. Urge la nascita dell’Übermensch. Il «superuomo», profetizzato da Nietzsche, può cancellare la lunga stagione dell’inganno metafisico e danzare senza colpa in una terra che non potrà più renderlo schiavo.

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