Un movimento collettivo per ridare vita al coro tragico
A teatro Il progetto coreografico di Alessio Maria Romano, «Choròs - il luogo dove si danza»
A teatro Il progetto coreografico di Alessio Maria Romano, «Choròs - il luogo dove si danza»
Sedici giovani attori e attrici prestati con vigoria all’energia del movimento. Accade in Chorós – il luogo dove si danza, progetto coreografico di Alessio Maria Romano con la compagnia AMR, in coworking con Casa Luft e Zerogrammi, un lavoro presentato al Teatro Studio Melato con alcuni ragazzi del Corso Luchino Visconti del Piccolo Teatro di cui Romano è docente di movimento espressivo. Si è partiti da una riflessione sulla tragedia greca e sul significato del chorós, termine da cui deriva la parola coreutico e che rimanda alla danza: premessa sviluppata in uno spettacolo dal respiro collettivo in cui il movimento è motore dell’azione.
Lo spazio del Teatro Studio, sfruttato nella sua profondità, sembra una piazza di una città vuota nella quale i sedici irrompono partendo dalla platea circolare in cui il pubblico è accomodato. I ragazzi camminano sempre più velocemente, diventano immagine della nostra società in corsa, il passo si fa spinto, i singoli si fanno gruppo. Il coro appare e la scena si trasforma nel luogo della danza. Curioso, la danza appare improvvisamente nello stare fermi, vicini, stretti, e poi resta lì, dentro i corpi che ruotano lentamente nel silenzio, abbassandosi verso terra prima di rifuggire in crescendo nello spazio.
La musica – il progetto è di Riccardo Di Gianni – segue i corpi, li sprona, rompe le scene con tagli netti che sottolineano le scelte drammaturgiche di struttura.
I sedici non sono danzatori, ma hanno dalla loro, avendo accettato di mettersi in gioco, il coraggio della gioventù, che, rispetto al movimento, diventa impulso a mangiarsi lo spazio senza riparo, al di là di qualsiasi possibile caduta in un’enfasi tecnica del gesto che non fa parte della loro storia.
Dal coro emergono i singoli, i maschi dapprima, Filippo Porro, Isacco Venturini, le donne aspettano, sono mischiate agli altri, eppure avranno un loro magistrale tempo. Parte Elena Rivoltini, ferma, cantando. Si formano coppie, a terra uno sull’altra, in piedi abbracciati. E gli uomini cadono, corpi come morti, trascinati dalle donne, issati sulle schiene femminili, avvicinati uno dopo l’altro in un nuovo coro silente.
Uomini salvati dalle madri, dalle fidanzate, dalle figlie. Il quadro non si chiude, la danza riparte. Il movimento torna collettivo. E il sorriso sociale vince sopra la morte senza paura, dentro il futuro, con i sedici che ci consegnano la loro energia ridando voce all’antico chóros attraverso la danza. Un lavoro da far girare.
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