Ultima chiamata»: per riconvertire i sistemi umani diventati arma di estinzione di massa, basterà la conferenza internazionale delle parti firmatarie della Convenzione Onu sulla biodiversità (Cbd), in corso fino al 19 dicembre a Montreal dopo quattro rinvii rispetto al calendario iniziale, ovvero Cina 2020?

ACCORDO QUADRO per avanzare verso la Vision 2050 della Cbd, «vivere in armonia con la natura»: dopo i fallimenti precedenti, i negoziati vertono intorno a 23 obiettivi da raggiungere entro il 2030 e 4 obiettivi chiave a lungo termine da raggiungere entro il 2050. Già accettato da 110 paesi è il «30 x 30»: ovvero proteggere il 30% della superficie terrestre, acquatica e marina entro il 2030.

ALLARME ESTINZIONE. Secondo l’ultimo Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services del 2019, un milione di specie animali e vegetali è a rischio di estinzione nei prossimi anni: un ritmo di scomparsa da 50 a 100 volte superiore a quello storico. Rischia di estinguersi con conseguenze imprevedibili il 90% delle specie marine. La Lista Rossa Iucn, da 50 anni il più completo inventario mondiale del rischio di estinzione di animali e piante, rende noto che in Italia sono 40 le specie di vertebrati in pericolo critico, 65 quelle a rischio di estinzione.

COP15 PIÙ IMPORTANTE della Cop 27 sul clima. Lo afferma, su Science Advances, un gruppo di scienziati: «Le opzioni di mitigazione e adattamento rispetto ai cambiamenti climatici sono diverse, anche se spesso mancano di volontà politica. Invece, la perdita di biodiversità, che destabilizza tutti i sistemi della Terra, ha una sola opzione: fermarla. Finora gli accordi globali hanno fallito. Ma abbiamo speranza che Montreal sia un punto di svolta» anche perché, rilevano, rigenerare la natura aiuta gli sforzi sul fronte del clima. Ma attenzione: se occorre ridurre la pressione umana, vanno invece potenziati gli interventi di ricerca, ripristino, controllo anti-degrado.

APPLICAZIONE NEI PROSSIMI ANNI. È stato finora il punto dolente. «Se si fosse agito sulla base di quanto deciso fin dall’inizio della Convenzione per la Biodiversità non avremmo questa crisi» ha riassunto un delegato africano. E invece.

CAUSE RADICATE. Ecco i cinque cavalieri dell’apocalisse: distruzione degli habitat (deforestazione, attività estrattive, conversione delle terre a uso agricolo e zootecnico; si veda anche il Global Land Outlook secondo il quale il 40% delle terre emerse è degradato); iper-sfruttamento delle popolazioni di piante e animali selvatici terrestri e acquatici (pesca, caccia, bracconaggio); inquinamento (pesticidi, rifiuti); impatto dei cambiamenti climatici; specie invasive.

CINA, QUALE IMPEGNO? Nel 2018 ha coniato il termine «civiltà ecologica» inserendolo nella Costituzione. Da un lato, la Cina ha aree protette sul 15% della sua superficie, diverse specie in fase di recupero, un’area forestale in espansione al mondo, moltissime cause in tribunale a protezione della natura, e un fondo per la biodiversità lanciato nel 2021. Ma le perdite di aree vulnerabili e cruciali come le barriere coralline e le mangrovie sono state elevatissime, la pesca non è sostenibile, il divieto (dal 2020 per via di Wuhan) del nefasto commercio di animali selvatici è in via di revisione, e c’è la via della Seta. La Belt and Road Initiative (Bri), enorme progetto infrastrutturale in oltre 60 paesi guidato dalla Cina. L’edizione monografica Forest Cover 60 della rete Global Forest Coalition (Gfc) si è focalizzata sulla necessità di proteggere foreste e comunità locali nei paesi coinvolti nella Bri.

CITTÀ PIÙ SELVATICHE. Proteggere gli alberi, vegetalizzare i tetti, tutelare gli spazi ricchi di piante selvatiche e arbusti, recuperare i corsi d’acqua degradati, connettere gli spazi creano corridoi ecologici, vietare i pesticidi: è il ruolo possibile degli spazi urbani e molte collettività ci stanno provando. I cinghiali? Sono un altro e ben diverso capitolo.

EQUITÀ E DIRITTI. Fermare la distruzione della natura nel rispetto dei diritti delle popolazioni e delle persone. A questo scopo occorre anche garantire redditi sostenibili per le comunità locali con l’equità nella condivisione delle risorse genetiche (si pensi anche alla rapina dei principi attivi offerti dalle piante medicinali, ai brevetti) e consolidare gli impegni di finanziamento, considerando anche che nei paesi del Sud globale si concentrano le aree più biodiverse.

FINANZA. Le risorse finanziarie sono i drivers della perdita di biodiversità. È centrale un «allineamento» dei flussi finanziari all’accordo globale per la biodiversità, visto che ogni anno 500 miliardi di dollari se ne vanno in sussidi e incentivi perversi che promuovono la distruzione, e 2600 miliardi di dollari, pubblici e privati, vengono investiti in attività non compatibili.

FORESTE CONSUMATE. Per la rete mondiale Global Forest Coalition, «proteggere solo il 30% del pianeta è un obiettivo limitato; in fondo è del 2015 l’accordo fra tutti i paesi per proteggere il 100% delle foreste del mondo entro il 2020 come parte degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile. Inoltre le aree protette hanno una storia con molte ombre. Spesso sono stabilite in zone non molto minacciate; altre volte, quando conviene, il loro status viene rimosso; oppure la protezione non viene davvero garantita, salvo estromettere con la violenza popolazioni indigene e comunità locali».

INDIGENI. Sono il 5% della popolazione mondiale ma le loro terre salvaguardano l’80% delle piante e animali rimasti, secondo la stessa Banca mondiale. Alcuni gruppi indigeni temono che l’accordo 30 x 30 possa essere usato per togliere loro le terre (sulle quali praticano anche attività come caccia e allevamento), altri spiegano perché la percentuale non è sufficiente.

MONTAGNE. Vita dura lassù. Le montagne sono esportatrici nette di risorse (acqua, minerali, legname, piante medicinali) e sono ricche di biodiversità. Le conoscenze e tradizioni dei loro popoli indigeni e delle comunità locali sono vitali nel preservarla.

OCEANI. L’oceano profondo è l’habitat più grande del mondo. La sua biodiversità è minacciata da molti fattori e mancano fondi per la tutela e un quadro giuridico chiaro per proteggere le aree fuori dalle giurisdizioni nazionali. Attualmente solo l’8% delle aree marine è protetto; e quasi solo sulla carta. Ad esempio in Francia, secondo un rapporto dell’associazione Bloom, nelle aree protette si svolge il 47% della pesca industriale. La governance frammentata e la mancanza di risorse per la protezione fanno il resto.

SOLUZIONI «NATURE-BASED». Questa bella espressione, centrale nei negoziati, può nascondere discutibili soluzioni di mercato nell’ambito del commercio dei crediti di carbonio e delle compensazioni volontarie. Come dire: distruggo qua e pago questo mio debito finanziando qualche aree protetta.

TRAPPOLE. Trappole mortali minacciano la fauna in Italia e nel mondo, ricorda il Wwf, in particolare in Asia. Ma anche in Italia, malgrado la legge vieti espressamente l’utilizzo di ogni tipo di sistema di cattura non selettivo, questo strumento particolarmente crudele è ancora molto diffuso anche a causa delle pene irrisorie comminate ai colpevoli.