Internazionale

Un massacro «no comment»

Far West colombiano Sui fatti di Sucumbios gli Usa non danno spiegazioni all’Ecuador

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 29 dicembre 2013

]Gli Usa «non si pronunciano in tema di intelligence». Questa la prima risposta fornita dall’ambasciatore statunitense in Ecuador, Adam Namm, al ministro degli Esteri del paese andino, Ricardo Patiño. Quest’ultimo ha chiesto spiegazioni sulla partecipazione della Cia nel massacro di Sucumbios, compiuto nel nord-est del paese il 1 marzo del 2008. Allora, un attacco aereo notturno rase al suolo un accampamento delle Farc, la guerriglia marxista colombiana. Insieme al comandante Raul Reyes vennero uccise nel sonno altre 25 persone, compreso un gruppo di studenti messicani che si trovava lì per una ricerca. L’unica sopravvissuta ha raccontato la dinamica del massacro, compiuto dai militari colombiani e dalla Cia.
Il Cablogate pubblicato dal sito Wikileaks aveva già puntato i riflettori sul far west colombiano orchestrato dall’allora presidente Alvaro Uribe e dal suo ministro della difesa Manuel Santos (il capo di stato attuale, ora suo avversario politico e impegnato nelle trattative di pace con la guerriglia). Il Datagate rivelato da Snowden ha poi mostrato come la Nsa e gli omologhi britannici del Gchq abbiano scorrazzato illegalmente in America latina (e non solo). Un’inchiesta di domenica scorsa sul Washington Post ha illustrato l’esistenza di un piano segreto, parallelo al Plan Colombia (siglato tra Washington e Bogotà nel 2000) e costato svariati miliardi. Fondi occulti gestiti dall’Agenzia per la sicurezza Usa (Nsa) e dalla Cia per localizzare i comandanti della guerriglia e poi eliminarli attraverso l’impiego di «bombe intelligenti». Un intervento militare diretto degli Usa in cui, secondo il Post, gli ufficiali colombiani avrebbero avuto un ruolo subalterno per diversi anni, prima di accedere ai codici segreti dei micidiali kit. Il programma, approvato da George W. Bush e riconfermato da Obama, e ha alimentato al parossismo l’ossessione securitaria motivata dalla «guerra al terrorismo» soprattutto a partire dal 2003. In quell’anno, tra militari, funzionari e agenzie private legate all’ambasciata Usa a Bogotà, la presenza nordamericana in Colombia ha superato quella in Afghanistan.
Il falco Uribe, che si ricandida per il senato alle elezioni di marzo 2014, ha ammesso e rivendicato l’esistenza delle operazioni Cia sotto copertura: cose note, ha detto, chiamando in causa anche «il prezioso aiuto» fornitogli dai britannici. Perché stupirsi, quando anche «i migliori alleati degli Stati uniti sono stati monitorati dall’intelligence americana?» ha rincarato l’ex presidente colombiano Ernesto Samper, con riferimento al Datagate. Sì, ma l’inchiesta del Post ha documentato un intervento militare diretto degli Usa, ha ribadito Patiño. L’Ecuador, che ospita ancora nella propria ambasciata londinese il cofondatore di Wikileaks Julian Assange, ha offerto asilo anche a Snowden quand’era incastrato al transito dell’aeroporto moscovita di Sheremetievo. E così hanno fatto Bolivia, Venezuela e Nicaragua. Non così hanno risposto Argentina e Brasile. Il terremoto diplomatico provocato dal Datagate (la Nsa ha spiato imprese e presidente del Brasile) ha però spinto anche i due grandi del continente a far fronte comune con i paesi socialisti. «Governi come Brasile e Germania hanno l’obbligo etico e morale di proteggere i diritti di Snowden», ha detto Glenn Greenwald intervenendo via internet al convegno del Chaos Computer Club di Amburgo. L’ex giornalista del Guardian che per primo ha diffuso i documenti sul Datagate ora vive sotto protezione in Brasile, guida la campagna perché anche Snowden ottenga asilo politico permanente lì e promette altre rivelazioni dopo quelle che hanno chiamato in causa il Gchq.
Il dibattito sul Datagate ha mostrato quanto, in Nordamerica, le torsioni autoritarie provocate dalla «guerra al terrorismo» abbiano depotenziato gran parte dei contrappesi democratici. Per una sentenza che ha accolto le denunce dei cittadini invasi dalla sorveglianza illegale e ha bacchettato lo strapotere della Nsa, un’altra ne ha stabilito la legittimità, come ha fatto ora una corte federale di New York. In Colombia, dove gli spazi per una vera opposizione si sono simbolicamente chiusi con l’assassinio di Jorge Gaitan, nel ’48, la partita in corso è quella rivendicata da Uribe e denunciata dall’opposizione sociale. In questi giorni, la Corte Interamericana per i diritti umani ha condannato lo stato colombiano per le violenze e le centinaia di espulsioni forzate durante l’operazione Genesis, compiuta nel ’97 con l’appoggio dei paramilitari.
Alla tregua di 30 giorni proposta dalla guerriglia, l’Onu ha risposto diffondendo in Colombia ritratti di Mandela e Madre Teresa di Calcutta. Giornalisti sportivi, organizzazioni sociali ed ex calciatori come il colombiano Carlos «El Pibe» Valderrama o l’argentino Maradona hanno proposto un’amichevole per sostenere il processo di pace, che riprenderà all’Avana il 13 gennaio.
Nel frattempo l’aviazione ha localizzato e ucciso un altro comandante delle Farc. Bombe intelligenti? «Abbiamo fatto tutto da soli», ha dichiarato il capo dell’operazione.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento