Se non ci fosse di che preoccuparsi, verrebbe quasi da sorridere scorrendo le prime pagine del pamphlet che lo storico Francesco Filippi dedica alla brutta fine che l’indagine storica sembra aver fatto nell’era dei social, soppiantata da ogni sorta di bufala, fake news o pura e semplice invenzione. «L’avvento dei social network ha in buona parte ricreato l’atmosfera fumosa delle vecchi mescite, con la rassicurante convinzione di trovarsi in un ambiente anonimo, opaco come le finestre di un’osteria».

È PER QUESTA VIA, partendo dalla diffusa illusione che le «chiacchiere da bar» possano rimpiazzare opinioni documentate che Filippi, cui si devono alcune delle indagini più recenti sul modo in cui gli italiani percepiscono se stessi nello specchio della vicenda mussoliniana, si misura, nei termini della «testimonianza di un reduce» sopravvissuto ad una lunga serie di confronti via social, con l’argomento. Il suo Guida semiseria per aspiranti storici social (Bollati Boringhieri, pp. 126, euro 10) non è però il testo indignato di un ricercatore di professione di fronte alla deriva in atto, quanto piuttosto un piccolo e concreto manuale di resistenza, atto anche a definire una controffensiva, i cui contenuti muovono dalla consapevolezza dello storico che è attraverso i social che oggi si forma una parte consistente dell’opinione pubblica. E che perciò questo terreno non può essere abbandonato nelle mani di chi della Storia e della sua memoria vuol fare strame.

PARTENDO DAGLI APPUNTI presi in rete, discussioni e esempi su cui si è imbattuto, Filippi rovescia la percezione comune del mondo accademico individuando le opportunità di quelli che non sono soltanto «strumenti» tecnologici in più, ma modalità per ampliare l’indagine e l’interpretazione storica anche al fine di comprendere meglio il presente. Non a caso è da ricercatore che a conclusione del libro indica ai lettori il terremo dei social per indagare una vicenda storica che si svolge sotto i nostri occhi: la guerra tra Russia e Ucraina.