Il romanticismo si nasconde negli angoli più nascosti della vita umana.. È possibile infatti ritrovarlo in una macelleria cilena, come ne La macelleria degli amanti di Gaetano Bolan (edizioni e/o, pp. 120, euro 12,50), in un uomo rude che fa da padre a un ragazzino cieco, in un bambino che ha «gli occhi d’inchiostro» e nella sua maestra che legge Neruda.

Una storia ordinaria, questa, di un amore nato in Cile durante la dittatura di Pinochet; una figura enigmatica che nel romanzo non viene mai nominata direttamente, lui è semplicemente «il presidente» attentatore alla libertà del popolo. Ma all’oppressione si fa poco riferimento nel libro, solo tratti accennati; Bolan in realtà è tutto preso dai tre personaggi principali: il macellaio Juan, la maestra Dolores e il piccolo Tom. Sono loro i teatranti di una semplice storia d’amore, naturale e spontanea, a tratti ingenua, che si snoda tra i rivoluzionari piani di Juan e del suo circolo d’amici contro la dittatura di Pinochet. Il racconto scorre veloce, con un’architettura narrativa ridotta al minimo, i personaggi sono uomini e donne ordinari, persone su cui non ci si sofferma, come il macellaio igienista o un barbiere all’antica. Questo rende il libro un resoconto favolistico sul le complesse dinamiche delle relazioni umane. Viene quasi il dubbio di stare a guardare il mondo dal punto di vista del piccolo Tom, figlio di Juan e innocente spettatore della società dei suoi tempi: non c’è il dramma o il pathos che caratterizzano la lotta al dittatore e l’amore; i sentimenti sono accennati, lasciati a navigare sulla superficie della pagina, sfiorano il lettore e solo poche volte si condensano in frasi ricche d’effetto e sparpagliate nella trama del romanzo.
Un tratto essenziale è però la sincerità e la schiettezza con cui l’autore descrive il Cile di quei tempi, il clima di sospetto, i segreti, gli sporadici momenti di festa tanto attesi dalla popolazione. Questo contorno, che appena si intravede nei piccoli dettagli che Bolan semina qua e là nella storia, è un’efficace ricostruzione del periodo successivo al golpe di Pinochet. Le sparizioni diventano il pane quotidiano della popolazione del Cile e anche nel libro sono trattate senza sconvolgimenti, come una realtà di fatto, una cosa risaputa che tutti accettano. La morte arriva e si dissolve senza lasciare traccia di sé, scompare esattamente come la memoria della persone. Gli unici a ricordare sono soltanto loro, i ribelli e i rivoluzionari che nell’ombra meditano sogni eroici; la vita poi scorre esattamente come la narrazione: semplice, chiara, senza scossoni, con una leggerezza a metà tra l’ingenuità e l’indifferenza. Ma, se nelle favole sono chiare le distinzioni fra bene e male, in questo caso il libro propende dalla parte del «bene», perché del male si parla poco, compare tra le pagine come un’ombra senza volto che spia e riferisce, non ha connotati e caratteristiche. Il bene invece viene enfatizzato, portato all’estremo fino a sfiorare il luogo comune, questo è ciò che rende i personaggi tipicamente romantici ma anche irreali, poco adatti alla tragica realtà che li circonda, questo è anche ciò che fa del libro una sorta di fiaba moderna che elogia la semplicità e la purezza della povera gente.

Il tema scelto da Bolan è quanto mai attuale, non solo perché nelle vene di questo scrittore scorre sangue cileno, e nemmeno perché Bolan stesso ha toccato con mano la dittatura di Pinochet, ma soprattutto per la testimonianza di un totalitarismo che lascia ancora tracce di sé. L’esorbitante numero di sparizioni e di uccisioni di quegli anni ancora dividono l’opinione pubblica tra chi parla di «Miracolo del Cile» e chi, più realisticamente, denuncia i crimini contro l’umanità perpetuati dal regime liberista. La macelleria degli amanti adotta un’ottica dal basso per descrivere la paura, l’indignazione ma anche la voglia di cambiamento che animava quegli anni.