Cultura

Un latitante che non vuole morire per burocrazia

Un latitante che non vuole morire per burocraziaL'orso M49

Scaffale «M49. Un orso in fuga dall’umanità» di Massimo Filippi, con i disegni di Andrea Nurcis, edito da Ortica

Pubblicato più di un anno faEdizione del 23 aprile 2023

M49. Un orso in fuga dall’umanità (Ortica edizioni, pp. 112, euro 10) è il titolo dell’ultimo libro di Massimo Filippi che si colloca in un orizzonte di dense pubblicazioni che l’autore, collaboratore di queste pagine, ha consegnato in ambito antispecista, con un taglio al contempo militante e teorico-filosofico.

IN QUESTO TESTO, impreziosito dai bellissimi disegni di Andrea Nurcis, Filippi dichiara in apertura che la materia trattata sarà il desiderio declinato al plurale, perché se è vero che è basato su una storia vera, cioè quella di M49, un orso siglato dagli umani e ora rinchiuso come JJ4 nel Centro fauna alpina di Casteller, l’esperienza che qui si vuole sollevare e raccontare è quella della libertà, più ostinata e detonante di qualsiasi contenzione.

A TRATTI POETICO, nel senso più radicale del lavorio che le parole fanno dentro i corpi e il loro accadere, l’autore sceglie di dare voce proprio a M49 per mostrare quanto un animale non umano di tale maestosa eccedenza, relegato ora in un carcere e che nell’immaginario comune è considerato spesso creatura favolistica, sia in realtà intimamente un fuggiasco resistente che ha praticato evasione e latitanza. E a partire da sé, dice molte cose tra cui che non vuole morire se non «per vecchiaia, malattia, caso o accidente, per naturale consunzione o per declino, non certo per vostra mano, legge, invenzione di statistica o taglio di violenta spada. Per addomesticante disciplina della carne o burocratico controllo di popolazione soggiogata».
A ben vedere, si tratta di una danza di dolore e rabbia che diviene precisa invettiva politica che Massimo Filippi costruisce con brevi paragrafi, costruiti tra l’aforisma e il pamphlet e in cui l’oppressione è esclusivamente inflitta dagli umani.

ECCO PERCHÉ LA FUGA nominata nel titolo ed ecco perché, spiega l’autore, è «un orso» e non «l’orso»; la ragione poggia infatti nell’anonimato vulnerabile cui si attribuisce una sigla per mondarne la forza. Ed è proprio l’ardore del desiderio, del chiamare una insorgenza inaddomesticata, che apre il secondo capitolo nel segno del «tu», di uno sguardo che racconti esternamente ciò che accade dentro la prigione in cui è costretto M49, espulso e irregolare. Il libro si rapprende infine nel canto collettivo e visionario di una rivolta, in cui si sceglie di sdraiarsi a terra accanto alla morte, non solo di un orso ma di tutti i corpi che non contano e che sono al massacro in nome della protervia specista. Antropocentrica e miseramente umana.

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