Cultura

Un irrisolto post colonialismo

Un irrisolto post colonialismoZoulikha Bouabdellah, dettaglio dell'installazione «Silence»

Saggi «Umano, non umano» di Gustavo Gozzi, pubblicato dal Mulino. Il focus del libro è sul Maghreb esteso all’Egitto. La guerra di tutti contro tutti del Duemila potrebbe essere una prosecuzione della vecchia «questione d’Oriente»

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 11 novembre 2015

Per capire i processi che stanno sovvertendo il Medio Oriente e il sistema mondiale non basta la storia. È la prima impressione che si ricava dall’opera di Gustavo Gozzi (Umano, non umano. Intervento umanitario, colonialismo, «primavere arabe», il Mulino, pp. 326, euro 25), preziosa e ponderosa malgrado una certa disomogeneità. Basandosi su resoconti altrui, con il rischio di dare troppa fiducia ai pochi testi di riferimento, irrora lo scorrere dei fatti con un sapere che non è mai abbastanza «alto» vista la materia. Chi vorrà rileggere gli avvenimenti dall’Ottocento in poi potrà trovare ispirazione e verifiche da questa cascata di insegnamenti che vengono soprattutto dal diritto e dalla filosofia politica.

Alla base c’è l’asimmetria fra Nord e Sud. Essa risale alla rivoluzione del pensiero, della politica e dell’economia che alla fine dell’Ottocento pose le premesse, accompagnandola, dell’espansione dell’Europa nelle «aree esterne». Nell’inquadramento di Gozzi il colonialismo è persino troppo schiacciato sul paradigma della «superiorità» dell’homo europæus e della civiltà occidentale (l’umano e non umano del titolo). In effetti, il colonialismo otto-novecentesco non è stato solo il prodotto di una sopraffazione in punta di diritto partendo da una premessa ideologica. Le cause e i risultati hanno inciso profondamente nella geopolitica, nell’economia, nella psicologia delle élites e delle popolazioni oggetto della conquista e della potestà dell’Europa. Può sicuramente tornare utile la chiave di lettura giuridicistica, ma l’Occidente non è impegnato in una tenzone teorica. In palio ci sono le risorse economiche e strategiche del mondo.

Allo stesso modo, le ambasce dei paesi islamici alle prese con le implicazioni attraenti eppure inquietanti della modernità non sono disgiunte dai fattori materiali di società dove la demografia, la diffusione dell’istruzione e quel poco o tanto di crescita (con una rendita la cui gestione non è certo neutra) modificano rapporti che sembravano congelati. A giudicare dai teorici musulmani di cui si serve Gozzi, uno stato islamico dovrebbe garantire la consultazione, la giustizia, l’eguaglianza, la responsabilità dei governanti e la promozione del bene comune. Rispetto alle pratiche della democrazia occidentale, anche nei saggi del tunisino Gannouchi, studioso e politico alla ribalta nel dopo-Ben Ali, sembra mancare solo il rifiuto di adeguarsi alla sacralizzazione della secolarizzazione.

Il focus del libro è sul Maghreb esteso all’Egitto. La guerra di tutti contro tutti del Duemila potrebbe essere una prosecuzione della vecchia «questione d’Oriente». Arabi e Turchia, vera e propria pietra d’inciampo qui trascurata, sono i protagonisti in cerca di uno status e di uno spazio. Il Nord Africa è considerato, forse un po’ alla leggera, un buon caso di studio per capire il mondo arabo-islamico. I fatti dimostrano però che anche l’Egitto, terra di congiunzione fra Maghreb e Machreq, non ha, almeno allo stato attuale (con Nasser era diverso), veri poteri nel Medio Oriente e cerca di contare al più in Libia.

Dal diritto naturale, più morale che giuridico, si è passati dopo il positivismo alla certezza del diritto (nazionale e internazionale). A essere troppo fini in diritto, si rischia di incappare in soluzioni impossibili. Morsi dopo qualche mese di presidenza non è più democratico perché ha ristretto il dosaggio fra i diversi poteri e ha il popolo contro. A sua volta, il colpo di stato di al-Sisi è giudicato da Gozzi sicuramente illegale. Con la stessa ricetta impiegata al Cairo, dove finirebbero Hollande e Dilma Roussef? La democrazia vorrebbe che si aspettasse le prossime elezioni invece di procedere con la forza.

Giudicando anche a posteriori, Gozzi mette in dubito le capacità della decolonizzazione di realizzare una «liberazione». Troppo spesso i movimenti nazionali si sono concentrati sulla lotta anti-coloniale trascurando di misurarsi con l’edificio ordinato dei rapporti sociali. Sicuramente avrebbe giovato riprendere la lezione di Edward Said, mai citato nel libro ma assolutamente essenziale, più di Frantz Fanon, invece abbondantemente utilizzato, per inquadrare il colonialismo dopo il colonialismo, che è l’aspetto della contemporaneità che sta più a cuore a Gozzi. Con Said – e la sua presa d’atto dei limiti di una non-Europa o anti-Europa che si è liberata dal dominio e dallo sfruttamento dell’Europa con dottrine e metodologie prese in prestito dall’Europa – si può capire meglio il perché di tanti fallimenti e dei travagli ancora irrisolti palesati dalle stesse Primavere arabe.

La conclusione è che i principi correnti che hanno la pretesa di essere neutrali, dai diritti umani alla responsabilità di proteggere, sono di fatto uno strumento di controllo al servizio dell’Occidente, legittimando (perché dietro ci sarebbero «cause giuste») le sue soperchierie a danno di un «altro» che da Sepúlveda a Huntington non ha mai trovato riconoscimento e giustizia.

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