Il 21 novembre scorso il manifesto pubblicò una mia lettera aperta a Roberta Pinotti, presidente della Commissione Difesa del Senato che chiedeva l’approvazione di una legge per restituire l’onore ai soldati fucilati nel corso della Prima Guerra mondiale per insubordinazione o altri reati del Codice militare. Furono oltre 750 le vittime del militarismo ad opera di sentenze dei tribunali speciali che si adeguarono alle circolari di Luigi Cadorna che imponeva esecuzioni “per l’esempio”.

Il 27 novembre Roberta Pinotti rispose assicurando l’impegno per arrivare in tempi rapidi alla riabilitazione storica di quei caduti, anche con atti simbolici e solenni, e faceva riferimento a un capitolo doloroso e troppo a lungo rimosso, a una ferita che andava sanata.
Avevo con ingenuità dato credito a quelle parole; leggendo le ultime righe (in cauda venenum), in cui si chiedeva “la massima responsabilità per arrivare a un testo condiviso che renda giustizia storica senza produrre altre lacerazioni”, avrei invece dovuto capire che era in atto una operazione furba e di truffa delle etichette.

Era infatti al lavoro un comitato ristretto per affossare la legge e predisporre una risoluzione, una sorta di ordine del giorno che, come diceva Andreotti, non si nega a nessuno.
Così, nella seduta del 10 marzo, la Commissione in quindici minuti, ha approvato all’unanimità un testo che rappresenta un insulto per una battaglia che dura in Friuli da più di venti anni e che era iniziata nel 1968 con la pubblicazione del libro-denuncia di Forcella e Monticone, Plotone di esecuzione. Un tempo inferiore a quello necessario ai carabinieri per uccidere i quattro alpini simbolo della richiesta di giustizia, il 1° luglio 1916 a Cercivento, un piccolo paese della Carnia.
Pinotti nella relazione ha sostenuto che si tratta di un testo equilibrato che evita il rischio di produrre ulteriori lacerazioni. In realtà è stata scelta una strada ricca di parole generiche nelle premesse e che negli impegni affida al Ministero della Difesa di affiggere nella occasione delle celebrazioni per il centenario della traslazione della salma del Milite Ignoto al Vittoriano una targa ricordo.

La scelta, assolutamente non motivata, di derubricare il provvedimento da legge a risoluzione, non ha la dignità di un atto solenne e simbolico in quanto non rappresenta la volontà del Parlamento, espressa con un voto della Camera e del Senato, ma un “affare” di modesto cabotaggio.

Si perde così l’occasione di una riflessione su una tragedia che vide profonde divisioni tra neutralisti e interventisti, con le differenze tra socialisti e cattolici, tra gli interventisti democratici e i nazionalisti. Una vicenda che dopo la guerra accelerò la crisi della democrazia e favorì la precipitazione nella dittatura e nel fascismo. Dopo cento anni ancora non si riesce a costruire una memoria collettiva che faccia i conti con una storia che cambiò l’Italia.

E’ grave che venga cancellato ogni riferimento alla Costituzione che non ammette in nessun caso la pena di morte, gravissimo che venga espunta l’affermazione che la Repubblica decide la restituzione dell’onore ai fucilati, assurdo che non sia stabilita la frase per la lapide che nella legge era senza equivoci: “L’Italia onora la memoria dei propri figli in armi, vittime della crudele giustizia sommaria. Offre la testimonianza di solidarietà ai soldati caduti, ai loro familiari e alle popolazioni interessate, come atto di riparazione civile e umana”.

Apparentemente il colpo di mano ha avuto successo, ma in realtà la partita non è chiusa. Alla Camera è stata presentata una proposta di legge, chiara e limpida, dal deputato di Tolmezzo Renzo Tondo e sottoscritta da sette deputati friulani (n.2809) che nel dicembre scorso fu illustrata in Consiglio Regionale a Udine con il Presidente Mauro Zanin.
Non ci arrendiamo di fronte ai baratti di potere. Il Non Mollare resta il vessillo di una politica intransigente sui principi.