Circa sessant’anni fa usciva Per un pugno di dollari, il film con cui Sergio Leone dava il via al cosiddetto «spaghetti-western», rivitalizzando e mostrando nuove strade a un genere, nel passato di grandissimo successo, ma che in quel momento sembrava sulla via del tramonto. Un nuovo modo di raccontare, nuovi personaggi, nuove fonti di ispirazione. Una maniera diversa, personale di approcciare il genere, sembra anche alla base del lavoro di Vincenzo Pardini, soprattutto nel caso del suo ultimo romanzo, Il valico dei briganti (Vallecchi, pp. 267, euro 18).

Siamo in pieno Ottocento. La storia è incentrata sulla figura di Vlademaro Taddei, nato a Bagni di Lucca, di famiglia contadina, fin da piccolo costretto a lavorare, ma che seguiva la scuola serale del parroco e perciò sapeva leggere e scrivere. A differenziarlo dagli altri non erano però prontezza o intelligenza, ma una strana propensione al crimine: «Rubare, non sapeva perché, gli infondeva soddisfazione». Da ragazzino, si limitava a rubare la frutta, ma quello che più lo attraeva erano il denaro e gli oggetti di valore, come, ad esempio, l’orologio da taschino del parroco.

DOPO UN’ESPERIENZA alquanto spiacevole con il prete, fu mandato a lavorare con dei pastori. Accusato di aver aggredito le loro figlie fu costretto a fuggire e, dopo aver compiuto il suo primo vero furto, decise di imbarcarsi per l’America. Durante il viaggio conosce un altro giovane delle sue parti, si chiama Jodo Cartamigli – personaggio presente in altri testi di Pardini – che lo convince ad arruolarsi con lui in una agenzia di marshall in California. Durante uno dei loro primi incarichi, Vlademaro coglie l’occasione per tradire Jodo e unirsi a un gruppo di banditi che li aveva assaliti. Da allora, inizia la sua carriera criminale che, per un certo periodo si svilupperà negli Stati Uniti, dove gli capiterà di entrare in contatto con una tribù di indiani, dai cui costumi sarà molto impressionato.

A un certo punto, però, l’aria si fa pesante e, raccolto il bottino di quegli anni di furti e rapine, Vlademaro decide di tornare in Italia. Arrivato in paese si presenta dai fratelli e sembra dedicarsi a una vita tranquilla. Si sposerà pure, e avrà due figli. Ben presto, però, «il richiamo della foresta» si fa sentire. L’uomo mette su una banda e ricomincia con furti e ruberie. Intanto, Jodo, che già in America aveva iniziato a cercarlo, torna anche lui in Italia per cercare di catturarlo.

DALLE PRATERIE AMERICANE alla Garfagnana, la scrittura di Vincenzo Pardini si distende a creare una vera e propria epopea che, se da una parte sembra quasi richiamarsi ai cantastorie, ai cantori delle gesta di briganti mitici in paesi e villaggi, dall’altra incarna l’entusiasmo del raccontare storie, senza orpelli inutili ma quasi con lo sguardo epico di un aedo. Così, ad esempio, l’attrazione per il crimine del protagonista viene presentata e narrata quasi come il suo destino, senza richiamare interpretazioni psicologiche o politiche. Sì certo, odiava i potenti e pensava che «chi deteneva il potere, monarchi e militari, polizia e Carabinieri, boia e sceriffi, preti e carcerieri non commettevano forse obbrobri esercitando le loro mansioni dettate da leggi non certo giuste, altrimenti non ci sarebbe stato il divario tra ricchi e poveri?».

Sembrano, però, riflessioni a posteriori e non le motivazioni che lo spingevano verso il crimine. E lo stesso antagonista, Jodo, sembra mosso dalla stesso tipo di moira, lo stesso tipo di destino anche se opposto, consacrato alla legge e all’ordine. Da segnalare, poi, la lingua usata, ricca anche di arcaismi e termini desueti, ma allo stesso tempo semplice e assolutamente comprensibile e che contribuisce in maniera sostanziale nella costruzione di questa sorta di atmosfera epica e popolare.