Un guanto e una pistola
Femmine Folli Una trombetta riffa una marcetta buffa. Lei è vestita di nero, spalle scoperte, capelli raccolti in alto alla maniera retrò. È una figurina bidimensionale, come quelle bamboline ritagliate nella carta […]
Femmine Folli Una trombetta riffa una marcetta buffa. Lei è vestita di nero, spalle scoperte, capelli raccolti in alto alla maniera retrò. È una figurina bidimensionale, come quelle bamboline ritagliate nella carta […]
Una trombetta riffa una marcetta buffa. Lei è vestita di nero, spalle scoperte, capelli raccolti in alto alla maniera retrò. È una figurina bidimensionale, come quelle bamboline ritagliate nella carta lungo la linea tratteggiata a cui si possono posare addosso vestiti diversi tramite i quadratini bianchi da ripiegare in alcune zone per lasciarglieli lì. Viso scolpito, bocca delineata da rossetto scuro, sopracciglia ad ali di rondine, cappellino con gli strass, al collo un sottilissimo giro di piume.
«Mi sembra d’impazzire» canta, e siamo già impazzite pure noi, assieme a lei, in giro per Milano e dintorni. Le gambe fanno il tip tap, i piedi a destra e a sinistra, girandole di dettagli come ologrammi, tutto è candido come i cieli bianchi nei film muti, il risvolto del vestito è una stoffa preziosa. Una ruota si allarga a dismisura dietro il viso di Lei che rischia di impazzire e non è più sola, è un’altra e poi un’altra e un’altra ancora essendo sempre lei… La spirale diventa bianca, il fondo nero, siamo il pubblico di un gioco illusionista da mal di testa. Ora Lei è in bianco, il suo opposto cromatico, abito charleston a vita bassa, doppio giro di perle fino alle ginocchia, urla parole che escono dalla bocca e si stagliano in stampatello grande su uno schermo dietro di lei. Rodcenko come Zang Tumb Tumb. «Sono la figlia del lontano futuro». Sono i primi del Novecento e noi non siamo più qui.
Pavimento a scacchi, Lei è sdraiata e dichiara ciò che tutti attendevamo: «Sono la terza guerra mondiale». Diventa lancetta di orologio che va all’indietro e finisce a testa in giù… Ci porta via con lei, sciagura o salvezza, miracolo o perdono…
«Sono allergica a mia madre», chi non lo è stato almeno un giorno. Mani afferrano la sagoma e la portano via. Con la testa nel vuoto tutto intorno si fa nero. Ombre, ritorni e indietreggiamenti. Matrioske urlanti follie imperanti. Figure geometriche prospettiche una dentro l’altra, dentro l’altra, dentro l’altra… Motivi ornamentali essenziali, linee fisse, precise, che puntano all’infinito e non si incontreranno mai mai mai e poi mai… Idea di movimento statico, fissato nel tempo, immobile e irrefrenabile insieme. Corsa sul posto, corsa per fuggire, corsa per non arrivare da nessuna parte. Tentativi di capire. Di raccontare. Di trovare una ragione per stare. E allora chi ti può aiutare. Forse i tuoi cari ricercare. Figure partite lasciate sottratte alla realtà ormai. Luci drammatiche, da cinema espressionista, di taglio, dure e falsificanti, siamo una maschera, rischiamo di impazzire…
Lei diventa un esercito di combattenti zingare come gatte in preda a una crisi economica erotica. Ribadisce di essere la terza guerra mondiale, guanto setato si fa arma puntata verso chi guarda, pistola pronta, tutte le carte tornano a posto, braccia composte lungo il corpo, piedi chiusi, i bianchi con i bianchi i neri con i neri, crescendo musicale. Lei è sperduta o sola o sovrastata da bocche aperte, cinque per lato, il nero la circonda e lei se ne pasce, con le mani imbrattate si tocca il viso che piano piano sparisce, «chiamatemi terza guerra mondiale» e sparisce. Ci restano solo occhi tra la pece ed un «ahah». Mi sembra d’impazzire.
(Mimosa Campironi è nata il 21 ottobre 1986 a Pavia)
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