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Un giorno nell’edicola che resiste

Un giorno nell’edicola che resiste

Crisi Soltanto a Roma, negli ultimi tre anni, le rivendite di giornali si sono ridotte di un terzo. In Italia dal 2013 ne chiudono 50 al mese. Ecco la mattinata di uno di quelli che non mollano

Pubblicato circa un anno faEdizione del 19 ottobre 2023

Al quartiere Tuscolano, Roma Sud Est, sono le 5 e mezza del mattino. Il sole non è ancora sorto quando Mimmo Autuori alza la saracinesca della sua edicola in via Marco Valerio Corvo 170, lungo una delle strade che corrono in mezzo ai palazzi che costeggiano la strada consolare.

MIMMO HA 63 anni. Suo nonno era stato strillone, vendeva i giornali per strada. Suo padre aveva prima fatto le consegne della carta stampata in bicicletta e poi, nel 1965, ha aperto questa edicola. Dal quartiere Monteverde, la famiglia Autuori si è vista assegnare la licenza di vendita per i periodici dall’altra parte di Roma. Adesso Mimmo si sposta dal Trullo, zona popolare collocata sempre sulla direttrice ovest. Quando arriva trova le consegne dei due distributori, giornali, riviste e allegati da catalogare e sistemare sugli scaffali e sugli espositori. Poco più in là, c’è anche un box di polistirolo, di quelli che si usano per conservare le mozzarelle. «Le consegnano da Napoli alla bottega qui di fronte – spiega Mimmo – Arrivano prima che loro aprano e le lasciano qui da me». Così, intorno alle 6, coi primi clienti arriva il commerciante egiziano a ritirare le sue mozzarelle.

È IL PRIMO indizio della fitta rete di relazioni che ormai da quasi cinquant’anni passa per l’edicola Autuori. «A stare qui dentro parli con un sacco di gente, ma sei sempre tu a decidere con chi parlare», avverte lui. La frequentazione è per forza di cose trasversale ai ceti sociali e agli schieramenti politici, che facilmente si individuano tracciando gli acquirenti di quotidiani.

LA MAGGIOR parte dei clienti, alle prime ore del mattino, sono abituali. Entrano e senza che dicano nulla Mimmo allunga loro il giornale. Da aderente storico al Sinagi, il sindacato degli edicolanti della Cgil, la sera precedente ha tenuto le luci accese anche alla sera, fino alle 21. Lo ha fatto insieme a molti suoi colleghi per denunciare la crisi del settore. Chiedono che gli aiuti varati l’anno scorso sotto forma di bonus divengano almeno strutturali e rivendicano le necessità di salvare una rete che potrebbe essere riconvertita a servizi informatici e sul territorio, oltre che alla vendita di giornali. I numeri sono più che allarmanti. Scandagliando i dati delle Camere di commercio quelli di Fenagi, l’associazione dei giornalai di Confesercenti, hanno rilevato che le imprese attive nel comparto sono passate da quasi 18 mila a meno di 12 mila. Significa che dal 2013 al 2023 chiudono i battenti quasi due edicole ogni ventiquattr’ore. Roma segue il trend nazionale: attualmente le edicole sono 500, soltanto negli ultimi due-tre anni si sono ridotte di un terzo. I chioschi di giornali dei centri storici spesso cercano di forzare i vincoli della licenza e riconvertirsi in attività di piccolo commercio rivolti ai turisti. Nei primi sei mesi di quest’anno hanno già chiuso quasi 600 punti vendita di riviste e quotidiani. Entro il 2030 ne resteranno meno di 8 mila: una ogni 7500 abitanti.

MIMMO LAVORA tra i giornali da tempo sufficiente per conservare una memoria storica della crisi del settore. «Il primo crollo negli anni Novanta con il boom delle televisioni private – sostiene – Negli ultimi dieci anni si sono sentiti gli effetti dell’informazione digitale». Nel frattempo il sole comincia a illuminare l’asfalto e dentro il negozio si esorcizzano le pessime notizie dai fronti di guerra discutendo del caso, ben meno traumatico, del patteggiamento del calciatore Nicolò Fagioli, coinvolto in un giro di scommesse clandestine. Qualcuno porta al padrone di casa cappuccino e cornetto, in cambio riceve il suo quotidiano. Si parla con sarcasmo di milioni persi al totonero e di giovani calciatori annoiati e dissennati.

FRANCO È UN lettore del manifesto. Arriva in bicicletta verso le 8.30, durante il suo giro di raccolta dati dei prezzi di alcuni generi di consumo. Lavora per l’ufficio statistico del Comune di Roma, che si occupa appunto di calcolare l’aumento del costo della vita. Mimmo nel frattempo rievoca i tempi difficili del lockdown e del Covid. «In quel periodo paradossalmente si vendevano più giornali: la gente stava a casa e veniva in edicola anche per avere la scusa di fare quattro chiacchiere. Si fermavano qui davanti, all’aperto. Dove avevamo messo un banchetto con prodotti essenziali: chi ne aveva bisogno poteva prenderli e chi poteva permetterselo li portava per gli altri». E sempre in quel periodo Mimmo e la sua rete di clienti più assidui si impegnarono a mantenere il rito della colazione salata di Pasqua all’edicola.

ANCHE STEFANIA passa prima di andare al lavoro ed esce col manifesto sotto braccio. «A volte in questa edicola ci sono assistenti sociali, non commercianti» dice a proposito di Mimmo e di suo fratello, che quest’oggi copre il turno del pomeriggio: alle 14 i due si scambiano le consegne e l’edicola resta aperta fino alle 20. Francesco Cirillo, militante degli anni Settanta e per qualche anno venditore di giornali a Diamante, paese del Tirreno cosentino, diede alle stampe un libro di racconti che stabiliva fin dal titolo questo assunto: Gli edicolanti sono tutti matti. Tra orari improbabili, strani sistemi di catalogazione della merce, l’infernale meccanismo dei resi e una clientela spesso sui generis Mimmo conferma ridendo: «È proprio così». Tanto che il progetto di Federico, storico video-attivista e anche lui assiduo utente dell’edicola di Mimmo, è quello di piazzare una telecamere nell’edicola di Mimmo, un po’ come fece Paul Auster nella tabaccheria gestita da Harvey Keitel in Smoke. Adelaide, maestra in pensione e memoria del quartiere, viene da queste parti a prendere la sua copia del manifesto, e in qualche modo conferma la diagnosi: «Mimmo? Gli rode sempre il chicchero, non trova pace. Ma poi riesce sempre a sopportare anche il bambino che non sa cosa vuole o magari a ordinare giornali introvabili. Ha la pazienza di Giobbe». Quanto a lei, non potrebbe fare a meno del suo giornale: «il manifesto pur rimanendo se stesso riesce a modificarsi – dice Adelaide – E soprattutto in questo momento, penso alla Palestina, abbiamo tanto bisogno di sapere cosa avviene da persone fidate». «E se passasse al digitale?», chiediamo sfidando il nostro ospite. «Sarò vecchia ma la carta è fondamentale. E l’edicola deve rimanere quello che è: un punto di aggregazione».

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