Un gioioso ritorno a vite immaginarie
Intervista La scrittrice cilena María José Ferrada parla del suo albo «Niños», pubblicato in Italia con Edicola edizioni. Un poetico omaggio ai bambini e alle bambine cui la dittatura di Pinochet ha rubato il futuro
Intervista La scrittrice cilena María José Ferrada parla del suo albo «Niños», pubblicato in Italia con Edicola edizioni. Un poetico omaggio ai bambini e alle bambine cui la dittatura di Pinochet ha rubato il futuro
Mercedes aveva 9 anni quando fu assassinata e adesso la ritroviamo a osservare la luna come fosse una fetta di formaggio da tirare giù dal cielo per «rubarla» al topo che sgambetta in cortile. Paola, invece, aveva solo tre mesi, eppure grazie alla scrittrice cilena María José Ferrada e all’illustratrice María Elena Valdez la reincontriamo cresciuta splendidamente mentre, sprigionando una luce solare, saltella felice dietro a una libellula. Sergio, desaparecido a 11 anni, aveva deciso di seminare un vaso di parole: il suo dizionario è rimasto muto, non gli è stato concesso il tempo.
Dopo aver raccontato la propria infanzia con tocco leggero e divertito in Un albero una gatta un fratello (Topipittori), l’autrice – nominata per l’Astrid Lindgren Memorial Awards 2022 – nell’albo Niños (Edicola edizioni, pp.80, euro 18, disegni di María Elena Valdez, traduzione di Giulia Giorgini) torna ad accogliere i riverberi della prima età, narrandone lo sradicamento brutale ad opera della dittatura di Pinochet. Niños, già menzione speciale alla Bologna Children’s Book Fair, affronta l’orrore con la levità e delicatezza di un futuro immaginato e impossibile, riconsegnato nelle mani di chi l’ha perso perché gli è stato strappato. È una restituzione che somiglia a un atto d’amore, essenziale come un haiku.
Il tema della memoria, in Cile, è sempre presente e ancora oggi può costituire la struttura portante per la costruzione di un nuovo Paese, non crede?
Certo: la democrazia non è qualcosa che si ottiene e poi ci si può riposare, è necessario lavorarci ogni giorno per poter raggiungere quella «costruzione». È fondamentale ricordare e mostrare ai bambini, come nel caso di Niños, cosa può succedere quando si perde la capacità di dialogare con l’altro, negandolo. È significativo non solo per conoscere la nostra storia ma anche per rendersi conto della forza della rimozione che ognuno di noi può esercitare nella vita quotidiana. Il lavoro con la memoria rimette in discussione costantemente le coordinate del presente. Nessuno può sottrarsi.
In «Niños», nonostante la tragedia che si nasconde dietro ognuno dei ritratti, la scrittura è poetica e non parla di morte. Rende omaggio allo stupore dell’infanzia e alla sua capacità di vivere in armonia con le stagioni, gli animali e la natura…
I nomi dei protagonisti del libro fanno parte dei rapporti che sono stati stilati in Cile, una volta ripristinata la democrazia. Giustiziati, detenuti e desaparecidos. Quei rapporti descrivono nei dettagli le torture che hanno subìto. Non è qualcosa che un bambino o una bambina possa leggere, è difficile anche per un adulto. Credo però che loro abbiano il diritto di conoscere la storia. Ho pensato che fosse possibile raccontarla con momenti di vita: una ragazzina che gioca con un pallone, un altro in piazza con il suo cane, una terza incantata da un insetto. La vita, dunque, il luogo dove quei bambini avrebbero dovuto continuare ad essere. Per nessun motivo sarebbero dovuti diventare i soggetti di un rapporto sulla loro morte e scomparsa. Volevo che le poesie indicassero quanto tutto può essere fragile.
Ritiene che la poesia sia un linguaggio vicino all’infanzia?
Credo che i più piccoli ricorrano al linguaggio poetico senza sapere che lo fanno, ad esempio quando giocano. Un bambino che dentro una scatola trova una nave sta facendo delle associazioni: c’è qualcosa nella sua forma che gli ricorda l’interno di una nave. E proseguendo, il tappeto potrebbe essere il mare sotto la nave. Quel bambino ci sta trasmettendo una istantanea poetica: il tappeto è un piccolo oceano nella stanza. Se immaginiamo la poesia non solo in qualità di genere letterario ma anche come un modo per guardare liberamente al mondo, trasformandolo in un luogo nuovo, ragazzini e ragazzine dovrebbero essere i nostri maestri. In loro persiste un gesto radicale che, invecchiando, dimentichiamo: il mio occhio è capace di trasfigurare la realtà. Chiunque potrà dirmi che ho una scopa, eppure per me è un cavallo e mi aggrapperò a quella bellezza che ho scoperto osservando il mondo e le sue forme.
Dei tanti minori uccisi o scomparsi, lei ne ha scelti poco più di trentina…
Ad abitare le pagine del libro sono gli under 14 iscritti nelle liste ufficiali. In quegli elenchi, i bambini si confondono dentro un mare di nomi, non c’è riguardo per la loro condizione infantile. Ciò che cerco di fare è ricordare quel che erano. Se i responsabili della loro morte sono riusciti a dimenticarlo, noi non vogliamo perpetrare quell’oblio.
Attualmente, parte dell’infanzia cilena vive una situazione drammatica, di disagio sociale, con alti numeri di abbandono scolastico. Esistono, quindi, molte tipologie di «sparizioni»?
Il lavoro sulla memoria va agganciato al presente, ripudiando i crimini commessi nei confronti di quei bambini. Eppure al «mai più», dovrebbe seguire una domanda sul rispetto dell’infanzia. I discorsi ufficiali – in Cile ci saranno le elezioni tra due settimane – nominano i bambini e poi, governo dopo governo, i politici non si fanno mai carico di una seria riforma del sistema di presunta protezione dei minori. Secondo i rapporti di cui siamo venuti a conoscenza, si tratta piuttosto di un sistema di maltrattamento istituzionalizzato. Non si ottiene nulla rimpiangendo il passato senza investigare l’oggi. E dopo quell’indagine, va chiesto che società e politica portino a termine le riforme corrispondenti. D’altra parte, la pandemia ha evidenziato quanto siano indifesi i più piccoli. Si è arrivati subito alla conclusione che non potevano andare a scuola perché erano fonte di contagio. Non è stata considerata la condizione in cui sono rimasti intrappolati nelle loro case. Molti di loro trovano nella scuola certamente un luogo dove acquisire conoscenze, ma anche uno spazio di contenimento, in cui stringere amicizie e creare le proprie reti di sostegno. In diversi casi, ed è un aspetto fondamentale e concreto, è lì che si assicurano il cibo quotidiano. Non aver cercato soluzioni, chiudendo semplicemente le scuole – nel periodo del bel tempo si sarebbero potute svolgere lezioni all’aperto – è stata una risposta che ha cancellato le loro esigenze. In altre parole, sono stati abbandonati.
Il Cile sta lavorando a una nuova costituzione. Ci sarà spazio per le politiche educative e per le età più fragili?
Se non ci sarà una «riparazione», allora non ci sarà speranza per noi come società. Le basi teoriche esistono già, bisogna passare alla pratica. Non possiamo permetterci di perseguire interessi particolari per un settore o un altro, o continuare a compiacerci dei nostri discorsi. Cura ed educazione sono le uniche opportunità di svolta. A lungo termine, il cambiamento sarà vantaggioso. Questi bambini un giorno diventeranno adulti e potranno sviluppare le loro potenzialità, contribuendo alla società nel suo insieme. Quando si lavora per l’infanzia, si costruisce il benessere dell’intera comunità. Le modalità con cui trattiamo i bambini ci forniscono una diagnosi molto chiara sullo stato di salute del nostro convivere.
Le illustrazioni dell’albo sono firmate dall’artista venezuelana María Elena Valdez. Avete lavorato insieme?
Siamo state contattate da una editrice messicana, Mónica Bergna. E come d’abitudine, ho lasciato che María Elena svolgesse il suo lavoro in piena libertà. Proprio come me quando ho letto i rapporti e poi ho scritto le poesie, lei ha affrontato il dolore producendo «luce». Perché i suoi disegni sono pieni di luce e tenerezza, elementi che furono negati a quei bambini. Un’immagine permette di soffermarsi su di essa per il tempo che serve, di guardarla ancora e ancora, sviluppando domande profonde: perché è successo? Cosa posso fare affinché non si ripeta? Niños vuole consegnare uno spazio a ciascuno per entrare nella storia con il proprio ritmo, ascoltando i propri quesiti e prestando attenzione ai propri bisogni. In tempi come questi è importante ritrovare un significato che, a volte, sembra smarrito. Anche i bambini sentono – ancor più intensamente degli adulti – questa impellenza di senso. María Elena, con la sua arte, è riuscita a dare fiducia ai bambini, dicendo loro: «puoi sbirciare in questa storia perché è anche la tua, pur se è difficile: il mondo, in fondo, è un misto di bellezza e dolore».
A quali fonti letterarie si ispira quando scrive?
Più che a fonti letterarie mi piace rivolgermi alla vita. Leggo – è parte inseparabile del mio lavoro sapere come gli altri hanno visto e raccontato questo mondo – ma soprattutto cerco di essere connessa con la realtà. Ecco perché mi piace tanto visitare le scuole. È lì, ascoltando le domande che fanno i bambini, che puoi registrare gli interrogativi posti da un’epoca. Loro sono lo specchio della società.
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