Un gesuita fra gli armati
Colombia Intervista a padre Javier Giraldo Moreno
Colombia Intervista a padre Javier Giraldo Moreno
Al convegno Globalizzazione e diritti fondamentali, organizzato a Roma dalla Fondazione Basso, abbiamo incontrato il gesuita colombiano Javier Giraldo Moreno, componente del Centro de Investigacion y Educacion Popular (Cinep) di Bogotà. Giraldo, che vive nella Comunità di pace di San José de Apartado, ha parlato di Impunità, giustizia transizionale e diritto dal basso. Il gesuita ha vissuto dall’interno il clima di terrore che si respira nella Colombia della democrazia bloccata e dei diritti negati.
«Negli anni ’90 – racconta – alcuni militari avevano stabilito un piano e una data per eliminarmi, e i miei superiori mi hanno obbligato ad andare all’estero per due anni. Quando sono rientrato, quei militari erano in pensione ma le minacce sono continuate in altre forme. Ma quel che è accaduto a me non è niente rispetto a quello che ha sofferto la Comunità di pace: 250 morti, espulsioni, torture, scomparse, persecuzioni giudiziarie, ripetuti furti del raccolto di cacao, che viene prodotto collettivamente». Una comunità «che ha scelto di non schierarsi nel conflitto armato pur condividendo le ragioni che hanno portato molti a imbracciare le armi: un concetto inaccettabile per il governo, che considera combattenti tutti i civili che non accettano di appoggiare l’esercito o i paramilitari».
Ma come si può restare neutrali in una zona di guerra?
La loro scommessa è di opporsi all’ingiustizia con mezzi non violenti. Il concetto di neutralità glielo ha suggerito all’inizio il vescovo Isaias Duarte, quando si stava preparando la dichiarazione di principio. Duarte era un conservatore, che aveva avuto un percorso simile a quello di Monsignor Romero, in Salvador, dopo aver visto da vicino le sofferenze dei contadini e degli indigeni. Poi è stato ucciso nella città di Kali. Alvaro Uribe, ex presidente della Colombia che allora era governatore della regione, andò nella Comunità per proporre una sua visione della “neutralità”: collaborare con i militari. Anche il vescovo la respinse e la Comunità ha continuato a difendere la propria Dichiarazione.
Nell’America latina del secolo scorso, molti religiosi hanno camminato a fianco dei marxisti. Camilo Torres è uno dei fondatori dell’Eln, una delle principali guerriglie. Ed Evo Morales ha regalato a papa Bergoglio una croce su falce e martello, scolpita dal Romero boliviano, Luis Espinal. Come valuta quelle scelte?
Fra i miei libri ce n’è uno che s’intitola “Quelle morti che hanno fatto risplendere la vita”: 25 biografie di religiosi e laici assassinati per il loro impegno senza riserve. Camilo Torres è stato molto importante per me, anche se non l’ho conosciuto personalmente. Nel ’65 ero un novizio e stavo facendo una delle prove previste in una grande clinica di Medellin, quando Camilo arrivò in città. Tutto il personale andò a sentirlo e dopo, per settimane non si parlò d’altro. Quand’è morto, avevo vent’anni e la gente diceva: perché l’hanno ucciso se stava applicando il Vangelo? Dopo l’università, ho cominciato a fare ricerche su di lui, a celebrare i suoi anniversari. Per i 50 anni dalla morte, abbiamo organizzato una settimana di ricorrenze. Avremmo voluto andare in pellegrinaggio sul luogo in cui venne ucciso, eravamo oltre 1000 persone, ma i paramilitari ce lo hanno impedito con le minacce. Così ho detto messa dall’alto di un camioncino. Ho scoperto una consonanza fra gli scritti di Camilo e quelli di Papa Francesco e ho pubblicato i due discorsi: 12 sono completamente identici. Per un disturbo audio, i giornali hanno distorto il significato della reazione del Papa quando Evo gli ha regalato la croce di Espinal: non è rimasto sconcertato, ha gradito molto.
E oggi, qual è il ruolo della chiesa in America latina? La maggioranza dei vescovi avversa i governi socialisti.
Le gerarchie ecclesiastiche colombiane continuano a essere molto conservatrici, a parte 4-5 vescovi che sono più vicini alla gente e intervengono anche nel processo di pace. La stragrande maggioranza è ancora ossessionata dal pericolo del comunismo, e il discorso ecclesiastico di pace come riconciliazione e perdono mette l’accento sull’oblìo come dimenticanza e non sulla memoria e la verità che serve per costruire il futuro. Il perdono come dimenticanza è una malattia del corpo e dell’anima e la conciliazione senza giustizia sociale è un’ipocrisia che lascia spazio a nuovi crimini dei potenti. Nella comunità di San José ho discusso animatamente di questo con un vescovo, che ha voluto cancellare tutti i nomi delle vittime che i contadini avevano messo in una cappella. E la comunità ha fatto costruire una casa della memoria di fronte alla chiesa.
Qual è stato il suo contributo al processo di pace in Colombia?
Mi hanno scelto per la Commissione storica del conflitto e le vittime, composta da 12 investigatori e due relatori di diversa provenienza. Abbiamo consegnato i lavori a febbraio dell’anno scorso. Mi sono recato molte volte a Cuba. Io ho sviluppato il concetto di diritto alla ribellione contro uno stato che non garantisce i diritti elementari come quello a nutrirsi, a curarsi, ad avere un tetto e un’istruzione. Che non garantisce la convivenza, chiude gli spazi di agibilità democratica e ha aumentato la violenza in modo esponenziale nel corso degli anni, soprattutto a scapito dei civili e della protesta sociale. Giustamente ricordiamo il massacro dell’Union Patriotica, compiuto dal governo e dai paramilitari quando le Farc hanno deciso il rientro nella vita politica. Ma il movimento Marcha Patriotica, che appoggia la soluzione politica conta oltre 200 morti. Quel massacro, in fondo non è mai finito.
All’Avana è stato firmato un importante accordo tra le Farc e il governo Santos. Si va verso una soluzione politica del conflitto?
Lo stesso negoziatore del governo ha detto chiaramente: non stiamo firmando la pace, ma il cessate il fuoco. Un impegno che sembra comunque irreversibile e che dovrebbe essere ratificato nel corso di questo mese. Il giorno successivo, inizia la road map che è stata concordata: il progressivo disarmo della guerriglia che si dislocherà in 8 accampamenti, e che si concuderà entro 150 giorni. Le popolazioni, però, temono di rimanere senza protezione perché il paramilitarismo continua a essere attivo e le denunce lo confermano. Le misure promesse dallo Stato, non convincono: si parla di riunioni dei partiti per condannarlo, di un articolo da inserire nel codice penale, di polizia di controllo quando la polizia e i paramilitari hanno sempre marciato assieme, si evita di nominare il fenomeno evocando “gruppi successori del paramilitarismo”. Uribe sta raccogliendo le firme contro l’accordo di pace. I grandi media aizzano la popolazione contro le Farc. Santos ha un doppio discorso. Quando va all’estero, dice che si apre una fase di grandi affari per le multinazionali, che potranno devastare il paese a proprio piacimento. All’interno, promuove l’accordo come il migliore possibile, capace di ridurre il numero dei morti. Le Farc e le assemblee popolari hanno fatto numerose proposte, ma quelle principali sono state rifiutate dal governo e messe fra parentesi per futuri negoziati. Non ci sarà un cambiamento strutturale, ma le Farc dovranno rientrare in un sistema politico corrotto, gestito dalle grandi consorterie e dal narco-paramilitarismo. Gli ex presidenti non verranno processati, anzi all’Avana hanno brigato perché l’accordo venga blindato per evitare che i tribunali internazionali possano rimettere in questione l’impunità. Per questo, Santos ha deciso di far passare l’accordo per l’approvazione del Congresso, della Corte istituzionale e di un referendum che dovrebbe tenersi a settembre. Le Farc hanno comunque annunciato che anche se si perde, non torneranno indietro. I negoziati con l’Eln, annunciati in Venezuela, non avanzano per l’intransigenza del governo.
Quale futuro per l’America latina?
Le sorti del Venezuela sono determinate dagli Usa, che guidano il sabotaggio interno. L’ipotesi che abbiano ucciso Chavez è sempre più credibile. Quando sono stato in Venezuela e Chavez era ancora vivo, ho chiesto a una persona che mi ha dato un passaggio all’aeroporto e che mi ha detto di essere un imprenditore se fosse vera la mancanza di cibo: “Ma no – mi ha detto – per far salire i prezzi, noi nascondiamo i prodotti”. In Venezuela si mantiene aperta una prospettiva, ma in altri paesi progressisti c’è ancora molto neoliberismo e i conflitti a sinistra si faranno sentire.
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