Un gesuita anti-populista tra politica e Chiesa
Vaticano La scomparsa di Bartolomeo Sorge. Alcuni mesi fa disse: «Ruini sbaglia a benedire Matteo Salvini. Il Vaticano fece lo stesso col duce».
Vaticano La scomparsa di Bartolomeo Sorge. Alcuni mesi fa disse: «Ruini sbaglia a benedire Matteo Salvini. Il Vaticano fece lo stesso col duce».
È morto ieri mattina a Milano, all’età di 91 anni, il gesuita Bartolomeo Sorge. Sostenitore del rinnovamento moderato del Concilio Vaticano II, direttore della Civiltà Cattolica dal 1973 al 1985, fra i protagonisti della «primavera di Palermo» nella seconda metà degli anni ottanta, Sorge ha fatto dell’impegno culturale e politico sul versante cattolico-democratico il centro della propria missione: prima con il tentativo di ricomposizione del mondo cattolico lacerato in seguito alla frattura del referendum sul divorzio nel 1974, poi spendendosi per il rinnovamento della Dc, avendo come stella polare il popolarismo di don Sturzo. Nato nel 1929 all’isola d’Elba, entra giovanissimo nella Compagnia di Gesù e nel 1958 viene ordinato prete. Nel 1966 entra a far parte del «collegio degli scrittori» della Civiltà Cattolica, la prestigiosa rivista dei gesuiti – le cui bozze passano al vaglio della Segreteria di Stato vaticana prima della pubblicazione –, di cui diventa direttore nel 1973.
È un frangente complicato per il mondo cattolico, che nel 1974 si spacca in occasione del referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio: da una parte Fanfani che punta sul Sì per ricompattare i cattolici e attuare una svolta conservatrice, dall’altra i cattolici per No, che contribuiscono in maniera decisiva alla vittoria del fronte laico. Sorge, da buon gesuita, non prende una netta posizione pubblica, ma avrebbe volentieri fatto a meno del referendum che lacera il mondo cattolico. E infatti negli anni successivi si impegna per la «ricomposizione dell’area cattolica» – dal titolo di un suo libro –, invitando i credenti a superare tre tentazioni: la «diaspora», l’«integralismo» e il «marxismo».
Critica l’integrismo di Comunione e liberazione, ma anche la scelta di classe dei Cristiani per il socialismo. Paolo VI e la Cei di monsignor Bartoletti lo vogliono, accanto a Pietro Scoppola – uno dei leader dei cattolici per il No –, nel comitato promotore del convegno della Chiesa italiana «Evangelizzazione e promozione umana» (1976) proprio per tentare di ricucire lo strappo. Poi arriva papa Wojtyła, e la mediazione viene sostituita da un’azione più intransigente e da combattimento.
Nel 1985 Sorge lascia Civiltà Cattolica e si trasferisce a Palermo, dove l’anno dopo fonda l’istituto di formazione politica «Pedro Arrupe». A frequentare padre Sorge, padre Pintacuda e il centro Arrupe ci sono i cattolici di sinistra del movimento civico «Città per l’uomo»- attivo già da anni in diversi quartieri di Palermo e che alle elezioni comunali aveva presentato liste alternative alla Dc, nonostante le pressioni di De Mita – e un giovane Leoluca Orlando, che fonda la Rete e fa il pieno di voti.
È la cosiddetta «primavera di Palermo»: una stagione di rinnovamento politico e di impegno antimafia, di cui Sorge è uno degli animatori. Senza mai diventare organico alla Rete di Orlando (a differenza di Pintacuda, prima delle folgorazione sulla via di Arcore, ai tempi della discesa in campo di Berlusconi): ma continuerà a guardarla e a sostenerla dall’esterno. Per lui l’obiettivo, che resterà una chimera, rimane la rifondazione della Dc, ispirata dal popolarismo di Sturzo. Nel 1997 lascia Palermo e si trasferisce a Milano, dove guida il Centro San Fedele e dirige le riviste dei gesuiti «Popoli» e «Aggiornamenti Sociali» (1997-2009). Continua fino alla fine ad occuparsi di politica.
Non c’è più la Dc da tentare invano di rifondare, ma ci sono nuovi pericoli contro cui schierarsi: le politiche contro i migranti, i decreti sicurezza («sono impregnati di razzismo, vanno abrogati»), il populismo e la Chiesa che guarda a destra. Quando, pochi mesi fa, il cardinal Ruini dice che con Salvini bisogna dialogare, la reazione di Sorge è fulminante: «Ruini sbaglia a benedire Matteo Salvini. Il Vaticano fece lo stesso col duce».
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