Cultura

Un genocidio burocratico

Un genocidio burocraticoKim Soo-ja «Bottari Truck - Migrateurs»

Saggi Flore Murard-Yovanovitch hanno raccolto i testi di esperienze di accoglienza feroce in Italia. Ne è uscito il libro «Derive. Piccolo mosaico del disumano», per Stampa Alternativa

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 26 febbraio 2014

Quando si legge di migrazioni, o se ne parla nel rumore di fondo quotidiano del discorso politico, si ha sempre l’impressione di non riuscire ad afferrare mai l’oggetto. Il linguaggio, in questo caso, non è un mezzo, ma un ostacolo alla comprensione. Che significano termini come «clandestini» e «respingimenti» o sigle come «Cie» o «Cara» al di là del loro impiego burocratico e opaco? Servono solo a coprire, nella soddisfazione tacita di gran parte dell’opinione pubblica, il vero e proprio genocidio – perpetrato, favorito, tollerato o minimizzato – degli stranieri che cercano di raggiungere le coste italiane ed europee.

Che si tratti di genocidio è fuori discussione. Migliaia e migliaia di persone sono morte annegate – forse ventimila in quindici anni – per il solo fatto che il loro tentativo di raggiungerci non è previsto o autorizzato dalle nostre leggi – cioè da norme elaborate, come dice da qualche parte Keynes, da pazzi consigliati da incompetenti. Costoro non osano dire in pubblico quello che pensano, che la vita dei migranti non conta nulla ai loro occhi, ma si comportano di conseguenza. Non un euro, non un decreto, non un atto è elargito a favore di questi esserti che fuggono dalla guerra e dalla fame. In cambio, se proprio riescono a scampare al canale di Sicilia, ecco filo spinato, detenzione, oppressione, manganellate e docce forzose.

La storia dell’ «accoglienza» italiana dei migranti è tutta in questa ferocia compunta, opportunamente ammantata da un linguaggio politicamente corretto e dalla consueta e ipocrita retorica nazionale, come quando l’ineffabile ministro Alfano voleva conferire una medaglia ai cittadini di Lampedusa per aver salvato i migranti sotto costa. Per fortuna, ogni tanto un reportage, un documentario o un libro buca questo muro e racconta, giorno dopo giorno, annegamento dopo annegamento, omicidio dopo omicidio, come stanno le cose tra Italia e migranti.

Questo è il caso dei testi raccolti da Flore Murard-Yovanovitch in Derive. Piccolo mosaico del disumano (Stampa Alternativa). Scritti tra il 2009 e il 2013. Questi testi (insieme a interviste a testimoni, registi e intellettuali) documentano l’infamia del nostro paese alle prese con gli stranieri: un indiano bruciato, un campo Rom preso d’assalto dai cittadini, le crociate contro i romeni, linciaggi tentati o riusciti – per non parlare delle morti in mare, della collusione dei nostri governi con il regime di Gheddafi, delle torture perpetrate dai libici di ieri e di oggi grazie al nostro denaro.

Il quadro che ne emerge è quello di una disumanità a mosaico o a macchia, che risparmia ben pochi settori della nostra società. I migranti fanno da parafulmine per tutta la frustrazione, la povertà e la desolazione che si diffondono in questo paese. Non perché minaccino alcunché o tolgano il lavoro a qualcuno, come recita la stolta propaganda leghista, ma perché rappresentano l’ignoto o forse incarnano quello che da noi è temuto più di tutti: la libertà di rischiare la vita per un’esistenza migliore o più giusta. Ecco perché i migranti suscitano diffidenza e paura, se non vero e proprio odio. Perché, avendo rischiato la vita e pretendendo semplicemente di viverla tra noi, denudano la povertà morale del nostro mondo.

Libri come questo, come nota Vassallo Paleologo nella postfazione, tengono desta la nostra memoria. Ci rammentano i delitti commessi in nostro nome e ci richiamano alle nostre responsabilità.

 

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