Che differenza c’è fra un gelato industriale e uno artigianale? Dovrebbe essere facile rispondere a questa domanda, se non fosse che il gelato artigianale si sta sempre più industrializzando e quello industriale sempre più cercando di imitare l’artigianale. Con gelato industriale si intenderebbe quello confezionato, contenente una serie di sostanze che per legge non sono ammesse in quelli artigianali, come aromatizzanti, coloranti, conservanti, grassi vegetali idrogenati, uova in polvere.

Il fatto è che oggi giorno la legge permette d’adoperare la dizione gelato artigianale anche a quelle gelaterie che utilizzano basi in polvere per i gelati con latte e con frutta, miglioratori di struttura, preparati aromatizzati per i vari sapori del gelato, quindi non proprio quello che ci si aspetterebbe da un prodotto spacciato come artigianale. Inoltre, la mancanza molto frequente della lista degli ingredienti nelle gelaterie non consente al cliente nemmeno di sapere se sta consumando un gelato realizzato con le basi in polvere o uno di qualità contenente ingredienti freschi, ritrovandosi spesso a pagare lo stesso prezzo per due prodotti completamente diversi.

Accade anche il contrario, cioè che il gelato artigianale imiti quello industriale. dimostrando perdita di fantasia da parte dei maestri gelatieri nel momento in cui propongono gelati con lo stecco e gusti ispirati a quelli di note marche o di merendine.

Un esempio di questa dissoluzione dei confini fra gelato artigianale e industriale è Grom, la catena piemontese di gelaterie ad alto livello diventata il simbolo del gelato artigianale italiano nel mondo: l’azienda dichiara di utilizzare prodotti freschi e senza additivi, ma si tratta di un gelato pensato per essere consumato dopo diversi giorni di stoccaggio e lontano dal luogo di produzione. Quindi viene pastorizzato, congelato e trasferito: sicuramente un prodotto di eccellenza, ma non artigianale.

Ma quali sono i pro e i contro del gelato industriale? L’enorme varietà presente sul mercato non permette di fare di tutta un’erba un fascio . Diego Celotto, chimico-tecnologo formulatore per la gelateria, ci spiega che per alcuni aspetti, come quello batteriologico, il gelato industriale può essere più sicuro di un gelato artigianale o presunto tale, in quanto la catena di produzione è sottoposta a rigidi controlli. Sottolinea che esistono sempre più industrie che utilizzano coloranti, additivi e aromi vegetali e naturali. Inoltre sfata alcune leggende come quella secondo la quale il gelato industriale sarebbe gonfiato d’aria per poterlo vendere a prezzi maggiori: come tutti i prodotti alimentari, tranne i liquidi, in Italia i gelati industriali si vedono a peso, non a volume.

Anche per il gelato industriale, continua Diego Celotto, ci sono alcuni accorgimenti da usare per evitare di consumare un prodotto alterato: la diminuzione ad occhio del volume in origine, dovuto a una non perfetta catena del freddo, che per le vaschette e le coppette può essere un sensibile avvallamento al centro e i bordi un po’ scostati. Per i coni un difetto è che in alcuni casi c’è qualche schiacciamento, dovuto a un breve scongelamento che lo porta ad essere a «becco di flauto». Per stecchi e ghiaccioli un possibile difetto è la formazione di brina all’interno dell’incarto e anche un impercettibile schiacciamento. Anche per quanto riguarda le vaschette si può avere una formazione di brina (congelata) quando la vaschetta viene aperta, come quando si evidenziano fratture nelle vaschette, segnale di una separazione del grasso-acqua e di una non perfetta omegeneizzazione.

È da tenere presente però che il gelato industriale, contrariamente a un falso artigianale, presenta l’etichetta, sulla quale possiamo individuare quelle sostanze il cui uso, o abuso, rendono il prodotto dannoso per la salute. L’etichetta e il buon senso ci dovrebbero tenere lontani da prodotti in cui eccedono grassi e zuccheri e la cui colorazione innaturale indica la presenza di sostanze chimiche di sintesi.

Alcuni gelati fanno uso di olii vegetali, che vanno a sostituire i grassi della panna e del latte, abbassandone la qualità. Fra questi può essere presente l’olio di palma: un’indagine svolta dal portale Il Fatto alimentare nel 2015 mostrò che il 90% dei gelati cosiddetti da passeggio offerti da un grande supermercato contenevano oli vegetali, il 35% dei quali olio di palma. Adesso che gli effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute della produzione e consumo di questo ingannevole grasso vegetale sono più noti queste percentuali sono diminuite, ma è comunque un ingrediente ancora presente in alcune marche.

Non sono invece indicate sull’etichetta ma sono state trovate all’interno di gelati industriali sostanze come il glifosato o suoi metaboliti. Un’indagine promossa dal gruppo di europarlamentari Verdi /Ale condotta nel 2017 ha denunciato che tracce della contestata sostanza erano presenti nel gelato confezionato prodotto dalla Ben Jerry’s, azienda del Vermont (Usa) che fa parte del colosso Unilever. La rivelazione è frutto di test condotti su 14 barattoli di gelato comprati in quattro Paesi europei (Germania, Paesi Bassi, Francia e Regno Unito).

Le concentrazioni riscontrate erano inferiori alle soglie di sicurezza previste nell’Ue. Tuttavia Gilles Eric Séralini, professore di Biologia molecolare dell’Università di Caen, in Normandia, e già protagonista di un caso relativo ad uno studio sugli effetti del Roundup (il nome commerciale dell’erbicida glifosato prodotto dalla Monsanto), pubblicato, ritirato dalla rivista ma poi ripubblicato, ha sostenuto che questa sostanza può provocare problemi alla salute anche in concentrazioni inferiori a quelle riscontrate nei gelati.

John Fagan, direttore dell’Health Research Institute Laboratories, che ha condotto i test sul gelato, ha spiegato che «13 barattoli su 14 avevano almeno un po’ di glifosato o un metabolita del glifosato». Dal test effettuato invece su 4 campioni di gelato biologico è risultato che tre di essi erano completamente puliti. L’origine delle tracce di glifosato nel gelato è da ricondursi all’alimentazione delle mucche, nutrite principalmente con soia Ogm, ma anche alla presenza di altri ingredienti oltre al latte, come pezzi di biscotti e anche burro d’arachidi. Il glifosato, utilizzato come diserbante nelle coltivazioni intensive, contamina l’acqua, che entra nel processo produttivo. Per Fagan, malgrado la ridotta taglia del campione, «la presenza del glifosato in 13 campioni su 14 è abbastanza comune. La probabilità che sia assente è estremamente bassa». In relazione alla vicenda la Unilever, multinazionale a cui fanno riferimento marchi che vanno da Algida a Grom, inviò una mail a uno degli eurodeputati in cui si impegnava entro il 2020 a smettere di utilizzare ingredienti prodotti con cereali trattati chimicamente con il glifosato.