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Un fiume in piena, Gianluca Arcopinto racconta Scampia

Un fiume in piena, Gianluca Arcopinto racconta Scampiafoto di Luciano Ferrare

Libri resistenti «L'idea del laboratorio di cinema è produrre corti dai contenuti per certi versi all’opposto di Gomorra, per far vedere la realtà delle Vele e l’emarginazione sociale»

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 26 aprile 2014

Il libro di Gianluca Arcopinto Un fiume in piena (ed. DeriveApprodi) che esce a giorni e di cui pubblichiamo qualche brano di anticipazione indica un inarrestabile movimento, ma potrebbe anche essere un’allusione allo stile di lavoro dell’autore, per quanto tranquillo e pacato possa sembrare il suo modo di fare, produttore di almeno centoventi film di cui due firmati da regista. La necessità di scriverlo nasce dalla sua esperienza di organizzatore generale sul set della serie Gomorra, prodotta da Cattleya e Fandango per Sky, un lavoro che per lui ha avuto un significato politico e umano, costruire una rete di rapporti per rendere innanzi tutto accettabili le riprese dalla popolazione delle Vele che non ne volevano sapere dopo le reazioni al film di Matteo Garrone. La regia del progetto che doveva essere affidata a Paolo Sorrentino poi troppo occupato con il suo film, fu assegnato quindi a Sergio Sollima, e da quel momento si sono create le condizioni per cui Arcopinto è stato di fatto rimosso dall’incarico dopo un lavoro di cinque mesi e sette settimane di riprese, con un risultato di quattro puntate girate e alcune scene di altre quattro. I costi erano lievitati a tal punto che Arcopinto chiese una pausa per avere a disposizione tutte le altre sceneggiature non ancora pronte per poter pianificare il lavoro e questa richiesta gli fu negata.
Scrive Arcopinto: «Nei mesi in cui ho lavorato a Gomorra ho cercato di vivere come sempre a occhi aperti e ho avuto l’opportunità di conoscere, nella mia condizione di osservatore estremamente parziale in quanto ospite, la realtà di Napoli nord. E ho conosciuto soprattutto le persone con le quali abbiamo cercato di fare, malgrado la sconfitta incombente, una piccola rivoluzione: fino a quel momento soprattutto a Scampia, si erano girati film sotto la protezione della camorra o della polizia. Nella serie Gomorra è stata percorsa una terza via: entrare e girare nelle Vele grazie al sostegno e alla collaborazione della cittadinanza attiva dimostrando che a Scampia gli abitanti sono più numerosi dei camorristi e più affidabili dei poliziotti». Di tutte le persone incontrate e con le quali ha collaborato descrive le spiccate personalità, la particolare militanza, il carattere così ben definito da avere l’impressione di essere stati lì anche noi, un film nel film: Ciro Corona presidente dell’associazione (R)esistenza di Scampia nata nel 2008 come lotta alla camorra che punta a cultura e lavoro, in base agli insegnamenti dell’ex parroco Aniello Manganiello che spinge i figli dei boss a tornare a scuola, a lavorare sui beni confiscati. Ivo Poggiani consigliere dell’8° municipio, interlocutore privilegiato, Diego, il tredicenne che si sente già un attore consumato, Salvatore il tassista, Diego Molino attivista di Insurgencia, Savio Wurz, una storia di famiglia che meriterebbe un film, Antonella Di Nocera, già assessore alla cultura di Napoli, Oscar che prese parte al suo film su Kempes allenatore del Fiorenzuola Sogni di cuoio, un portiere diventato poi cameriere a Barcellona. E Omero e Lorenzo, due rappresentanti del Comitato delle Vele di Scampia, nato per l’abbattimento delle Vele, che mediano con gli abitanti per far girare le scene con un accordo in base al quale dalla serie sarebbe dovuto nascere qualcosa (da un’illuminazione provvisoria alle staffe da posizionare per mettere in sicurezza gli ascensori che non hanno mai funzionato). E tanti altri. E poi c’è la sua lettera indirizzata a Giulia, l’allieva di produzione al Centro sperimentale in cui sono sintetizzati i suoi sogni e le utopie valide per chi oggi vuole fare cinema.

E in un ultimo capitolo, Un fiume in piena, si arriva alla sintesi, al risultato del lavoro svolto, il fiume in piena che travolge Napoli con la manifestazione dei centocinquantamila: «Perché un fiume in piena non è una cosa che si governa, non è una cosa in cui si può confluire rimanendo ben distinti, è poco interessato alle istituzioni, agli equilibri, alle provenienze politiche. Un fiume in piena ti lancia la sfida: quella della corrente, quella del divenire, quella del precipitare e del mescolarsi di ogni linguaggio, di ogni pratica, verso il mare aperto della sperimentazione politica».
Chiediamo ad Arcopinto della sua esperienza con il laboratorio di cinema: «Ora sono passato dall’altra parte. Ero stato individuato da Sky come uno che poteva trattare con la gente per rendere possibili le riprese, per fare in modo che non insorgesse contro la serie. Sono rimasto come portavoce ed è stato creato un laboratorio per una scuola a Scampia, mentre Sky ha acquistato cinque cortometraggi che abbiamo girato e che sono programmati dal 24 aprile in poi, sperando che poi ne acquisti anche altri. I ragazzi che partecipano al laboratorio sono circa 25, molti di loro vogliono fare gli attori, forse perché del cinema conoscono solo quello, ma quando poi scoprono che esistono tanti altri mestieri si appassionano. Ad esempio uno che voleva fare il regista ora ha scoperto con sorpresa la produzione». Gli chiediamo del significato del grande movimento di quel fiume in piena che ha reso così palpabile nei suoi scritti: «quello che ho toccato con mano è un movimento importante che coinvolge più persone, movimenti diversi. È importante per Napoli e non solo per Napoli. Un lavoro enorme è stato fatto: mentre su tematiche diverse sono tutti divisi e ognuno ha le sue posizioni, per esempio sulla legalità, sulla lotta alla camorra, invece sulla terra dei fuochi, sulla salute sono tutti uniti, ognuno di loro ha in famiglia qualcuno, conosce qualcuno che si è ammalato di tumore. Difficile capire cosa si è mosso lì in un momento in cui tutto altrove sembra fermo. C’è in ballo la vita».

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