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Un ex comunista in equilibrio tra Putin e le rimesse dei migranti

Un ex comunista in equilibrio tra Putin e le rimesse dei migrantiIgor Dodon vota alle ultime elezioni presidenziali – LaPresse

Moldavia Gli scenari che si aprono con l’elezione a presidente della repubblica di Igor Dodon. Che non vuole mettere in discussione l'adesione alla Ue, né trasformare il paese in un avamposto di provocazione occidentale contro la Russia

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 9 maggio 2017

Quattro mesi fa l’elezione a presidente della Repubblica moldava di Igor Dodon (assieme alla contemporanea ascesa in Bulgaria del socialista Rumen Radev) ha fatto parlare i giornali occidentali di «svolta filo-russa» in Europa orientale.
Igor Dodon, classe 1975, non è certo una novità del panorama politico moldavo. Membro del Partito comunista fino al 2011, poi abbandonato per entrare nel Partito socialista più disponibile alle privatizzazioni e al libero mercato, è stato ministro dell’Economia tra il 2005 e il 2009 e poi candidato sindaco per la capitale, sconfitto di un soffio al ballottaggio.

Malgrado sia stato sbrigativamente bollato come «uomo di Putin» in realtà Dodon, da politico accorto si è mosso sin da subito con cautela. In primo luogo perché parlamento e governo sono ancora controllati dai tre partiti filo-europeisti. E in secondo luogo perché la Moldavia con oltre il 60% delle esportazioni verso l’Unione europea e le rimesse dei migranti, ha legami strettissimi con l’Occidente.
Proprio come la vicina Ucraina, la Moldavia si trova a districarsi tra l’egemonismo dell’Unione europea, con cui ha sottoscritto da tempo un Accordo di Associazione, e la rinascente volontà della Russia di influenzare il suo Vicino Estero.

Secondo Maia Sandu, la candidata «liberista» sconfitta alle elezioni presidenziali ed ex consulente della Banca mondiale, il riavvicinamento di Chisinau a Mosca è in realtà «uno strumento di pressione nei confronti dell’occidente per ottenere nuovi prestiti senza garantire però le riforme».

Uno dei cavalli di battaglia di Dodon in campagna elettorale del resto è stata la sua netta avversione verso nuove politiche di austerità e di taglio della spesa pubblica, finora portate avanti dai tre partiti liberali al governo, che un paese prostrato come la Moldavia difficilmente riuscirebbe a sopportare. Ciò gli ha garantito il sostegno soprattutto dei pensionati e degli invalidi civili che vivono spesso sotto il livello minimo di sussistenza.

L’approccio prefigurato da Dodon sarebbe una variante della politica di bilancia tra Occidente e Russia, già sperimentata da Janukovich prima della catastrofe di Piazza Maidan, a cui aggiungerebbe il rilancio di politiche di welfare di sostegno alla popolazione che tenga però conto del bilancio dello Stato in “profondo rosso”.

Non è un caso che il nuovo presidente nel suo incontro a Mosca con Putin del gennaio scorso, si sia ben guardato dal fare il minimo cenno alla possibilità di riconoscere l’annessione russa della Crimea anche se nella campagna presidenziale aveva sostenuto, per ingraziarsi l’elettorato filo-russo e di sinistra, che quella regione era ormai da considerarsi russa de facto. Allo stesso tempo però, il neo presidente moldavo ha chiarito che il paese non è disposto a diventare un avamposto di provocazione occidentale contro la Russia, ribadendo «la propria disponibilità a discutere la possibile firma di dichiarazioni politiche importanti riguardanti lo status di neutralità permanente della Repubblica moldava come perno di condizioni reciprocamente vantaggiose della cooperazione Moldavia-Nato».

Tuttavia Igor Dodon qualche passettino verso Mosca ha iniziato a farlo lo stesso. Il 14 aprile a Bishkek, capitale del Kirghizistan, la Moldavia ha ricevuto il semaforo verde per l’associazione con l’Unione economica euroasiatica a cui aderiscono, oltre al Kirghizistan, la Russia, l’Armenia, la Bielorussia e il Kazakistan, una zona di libero scambio che nel due anni dalla propria nascita ha prodotto in termini di sviluppo economico alcuni risultati interessanti, principalmente in Armenia.

I prossimi mesi, ci diranno se i difficili equilibrismi del nuovo presidente moldavo, riusciranno a traghettare il paese verso lidi sicuri, alleviando al contempo le pene della sua popolazione.

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