Un doppio gioco di cinema per liberare il senso del mondo
Cinema «C’est pas moi» di Leos Carax con «Allégorie citadine» di Alice Rohrwacher e JR aprono Filmmaker Festival
Cinema «C’est pas moi» di Leos Carax con «Allégorie citadine» di Alice Rohrwacher e JR aprono Filmmaker Festival
Si apre nel segno di Leos Carax l’edizione di quest’anno di Filmmaker che si inaugura questa sera al cinema Arcobaleno di Milano. Corpo, voce, occhio, «traghettatore» di pensieri, immagini, immaginari che prendono forma dalla memoria, dalla storia del cinema – del suo cinema e di quello di tanti cineasti che nel corso del tempo hanno contribuito a crearlo lasciando tracce indelebili – e del mondo, dai miti, dal buio, dalle ombre che si muovono e generano continue nuove magnifiche «illusioni».
Filmmaker avvia il suo programma con la doppia presenza di questo radicale sperimentatore di linguaggi: nel ruolo di un regista teatrale senza nome che, in Allégorie citadine di Alice Rohrwacher e JR, sta allestendo uno spettacolo di danza ispirato a La caverna di Platone; e in quello di regista cinematografico con il suo più recente lavoro C’est pas moi (in anteprima italiana dopo quella mondiale al festival di Cannes) in cui – nella durata del mediometraggio – si interroga sulla propria «isola del cinema preziosa e misteriosa» e, al tempo stesso, interroga «quelle opere che nei secoli sono state importanti, che hanno ispirato e continuano a essere dei riferimenti per chi scrive o per chi filma perché i film non danno delle risposte, ma pongono soprattutto delle domande».
UN FILO rosso che attraversa tutta l’opera dell’autore francese quello di aprire lo sguardo, espandere la visione. Oppure concentrarla in un sunto «godardiano» per poi ri-aprirla ad altre infinite prospettive e interpretazioni come accade in C’est pas moi. Una «storia del cinema» plurale sviluppata all’interno di un film di quarantadue minuti commissionato a Carax dal Centre Pompidou di Parigi. Il testo avrebbe dovuto essere parte di una mostra consacrata alla sua opera che però non venne mai realizzata. A lui, come a chiunque cineasta omaggiato o omaggiata dal Pompidou, fu posta la consueta domanda-titolo «Où en êtes-vous, Leos Carax?» da trasformare in immagini. E il regista parigino ha colto l’occasione per assemblare un autoritratto nel quale confluisce una moltitudine di fonti che si dibattono – al pari di Denis Lavant nella memorabile corsa-danza in strada, epilettica e trasformista, contenuta in Rosso sangue – in un corpo a corpo tanto fisico quanto intellettuale per una riflessione sul cinema e sulla società. Perché C’est pas moi alterna i primi passi del cinema a chi, nella tragedia o nella ribellione (Hitler da una parte, le Femen dall’altra, solo per citare due esempi), ha scritto pagine di Storia passata e più vicina a noi.
Un film-viaggio, C’est pas moi, che ha il suo centro nel movimento, un movimento che deve essere a perdifiato, da far girare la testa, reso ancora più incalzante dal montaggio e dalla voce-pensiero di Carax. Il suo cinema, e C’est pas moi, è il contrario dell’immobilità, ed è anche gag, situazioni stralunate, una macchina da presa sulla balconata di uno specchio d’acqua ghiacciato verso la quale il deus-ex-machina, di spalle, corre e scivola sulla neve, cadendo in un movimento da comica muta. «Il muto è un riferimento per me importante – ricorda l’autore – Ciò che si ama rimane sempre. Sono i primi film che ho scoperto alla Cinémathèque di Parigi, amavo molto immergermi nel nero della sala, era un’esperienza molto potente».
DI SPALLE, e non è casuale. Spiega ancora Carax: «Se dovessi definirlo, direi che C’est pas moi è un« “autoritratto di spalle”, un gioco in cui si ritrovano quelle menzogne che si dicevano nell’infanzia, quel “c’est pas moi” – “non sono stato io” – dietro al quale ci nascondevamo da bambini».
E gioca una parte rivelatrice in Allégorie citadine, Leos Carax. Un paio di scene nel cortometraggio lieve come una filastrocca e denso come un gesto rivoluzionario (non si può non pensare al cinema delle meraviglie di Michel Gondry) di Rohrwacher e JR dove protagonista è un bambino che scopre il mito della caverna di Platone ascoltando il regista teatrale interpretato da Carax. Avvolto nel buio della sala, seduto, o in piedi davanti al teatro, indossa un paio di occhiali scuri, da «cieco», e ciò è un dettaglio esplosivo. Invito a vedere, sentire, percepire, intuire con altri sensi allertati.
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