Un documentario sul bloqueo a Cuba
Intervista A Roma il regista scrittore colombiano Hernando Calvo Ospina
Intervista A Roma il regista scrittore colombiano Hernando Calvo Ospina
Microfono aperto sulla Cuba che cambia… cum juicio. Scrittore dal passato militante e firma di Le Monde diplomatique, il regista colombiano Hernando Calvo Ospina è in Italia per presentare il documentario El bloqueo contra Cuba, el genocidio mas largo de la historia, sottotitolato e finanziato in gran parte dall’Associazione nazionale di amicizia Italia-Cuba, che ha organizzato l’incontro insieme all’Associazione culturale Enrico Berlinguer (Quadraro Cinecittà, Via Opita Oppio, 24, oggi alle 17,30).
Com’è nata l’idea del documentario e come si è sviluppata?
Ha preso corpo il 17 dicembre del 2014 con le inaspettate dichiarazioni dei presidenti Raul Castro e Barak Obama, che si proponevano di ristabilire relazioni diplomatiche. In quel momento è iniziato un po’ di sconcerto nei settori della solidarietà con la rivoluzione cubana. A gennaio, alcuni compagni cominciarono a dire e a scrivere che le associazioni di amicizia dovevano sciogliersi perché ormai i “nemici” erano diventati amici, giacché il blocco economico era finito. Per questo, ho deciso di andare a febbraio a Cuba per realizzare una serie di interviste ad alti rappresentanti dello Stato, ma anche a persone comuni.
E con quale obiettivo?
Volevo sapere se davvero il blocco degli Stati uniti contro Cuba era finito. E quel che ho visto è che invece è ancora intatto. E fino a oggi, a oltre un anno dall’inizio del dialogo, nonostante le misure esecutive prese da Obama, il grosso del blocco resta intatto. Obama non ha fatto abbastanza per smantellarlo, benché sia nelle sue prerogative farlo. Poi deve essere il Congresso a dire che, secondo la legge, il blocco è terminato definitivamente.
Gli Usa tornano a Cuba, cosa succederà?
Il presidente Obama e John Kerry, capo del Dipartimento di Stato, sono stati molto chiari: l’obiettivo degli Stati uniti non è cambiato, continua a essere quello di farla finita con la rivoluzione cubana. Quel che cambia è la tattica: con l’appoggio economico, proveniente da diverse fonti, gli Usa contano di favorire la creazione di una piccola borghesia che arrivi a scontrarsi con lo Stato; con internet e altri mezzi di informazione, contano di penetrare a fondo nella gioventù; con l’arrivo di migliaia e migliaia di statunitensi contano di far conoscere ai cubani la “bellezza” della loro “Way of Life”… La sfida della rivoluzione cubana oggi è enorme. E la domanda in arrivo è: perché lo fanno, allora? La rivoluzione ha fiducia nella maturità e nella formazione politica e nel patriottismo dei suoi cittadini. E spera che con la fine del blocco possa migliorare la sua economia, cominciare a commerciare con le altre nazioni, il che porterebbe un miglioramento del livello di vita dei cubani. Però sì, c’è una preoccupazione in un settore della popolazione, nel vedere l’arrivo di chi chiede al governo cubano di farla finita con la loro rivoluzione che tanti sacrifici è costata.
Gli Usa e l’Europa vogliono accerchiare il Venezuela con un nuovo blocco economico, qual è la sua opinione?
Con il presidente Chavez, il Venezuela si è trasformato in “cattivo esempio”. E non esiste paura più grande per gli Stati uniti e per vari paesi europei. Che una nazione del cosiddetto Terzo Mondo si dichiari comunista o socialista non li preoccupa: un’altra cosa è però che inizi a chiedere rispetto per la sua sovranità, a cominciare dal controllo delle proprie risorse naturali, e a dare ai suoi cittadini il necessario per poter vivere come esseri umani. E che in questo percorso si inseriscano altri popoli. Il Venezuela bolivariano deve tornare all’ovile, sia per far sì che il petrolio torni ai suoi “antichi padroni”, sia per riaffermare che solo il capitalismo è la strada da percorrere.
Come colombiano e come militante che ha subito il carcere e la tortura come vede il processo di pace tra Santos e Farc che si sta svolgendo a Cuba?
Non voglio essere più realista del re, ma esprimo tutte le mie perplessità. Lo stato colombiano è fra i più sanguinari nella storia dell’umanità, e non sto esagerando. Dal punto di vista politico è quantomai escludente. Inoltre, mentre all’Avana si negozia, i leader sociali continuano ad essere assassinati quotidianamente dalle forze armate e dai loro paramilitari. Quel che non si racconta è che l’immensa maggioranza dei milioni di assassinati e scomparsi, in questi ultimi cinquant’anni di violenza politica, sono civili. Contadini, in particolare, che non vivevano in zone di guerra però erano proprietari di terre ricche. Per me, prima di negoziare all’Avana una mini riforma agraria o la possibilità di far politica per i dirigenti guerriglieri, si doveva esigere lo smantellamento del paramilitarismo, poiché non si può far niente se questo immenso apparato, maneggiato dal cuore dello Stato, non viene smantellato.
Obama dopo va in Argentina. Che pensa del ritorno della destra nel continente?
Senza voler negare gli errori dei progetti in Venezuela e in Argentina, si dovrebbe parlare della classe media o della piccola borghesia, poiché è stata quella che ha portato alla destra il grosso dei voti: quelli che con i Kirchner sono tornati ad avere il frigorifero pieno, mentre hanno fatto la fame con il neoliberismo. In Venezuela sono stati quei poveri a cui la rivoluzione ha dato tanto che si sono trasformati in piccoli borghesi. E’ duro dirlo. I principali oppositori ai processi che guidano Evo in Bolivia e Correa in Ecuador, sono i piccoli borghesi, in particolare quelli che sono arrivati fino a lì grazie a quei processi. In Ecuador, quella che scalpita è la piccola borghesia di sinistra, mentre il grande potere economico applaude. Perché credete che Washington voglia creare una piccola borghesia a Cuba?
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