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Un Ddl perfettibile, un dibattito drogato dai social network

Un Ddl perfettibile, un dibattito drogato dai social network

Legge Zan Il ddl, in altre parole, non menziona gli specifici rapporti etero-patriarcali di forza da cui dipendono le discriminazioni e le violenze di genere e sessuali

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 29 maggio 2021

Nonostante sia comune riferirsi al disegno di legge Zan come a una legge contro l’omo-lesbo-bi-transfobia e la misoginia, è bene precisare che di tutta questa panoplia di fobie il testo non parla. Il dettato di legge (sulla scia della legislazione genericamente antidiscriminatoria di matrice neoliberista) si limita infatti a introdurre generiche misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità. L’unico articolo in cui compaiono le fobie (ma di misoginia non c’è traccia) non concerne integrazioni al codice penale, bensì l’istituzione di una Giornata nazionale, il 17 maggio.

È quasi assurdo se si considera la quantità di corifei schierati dalle destre contro la legge, ma il ddl Zan non punisce le discriminazioni e le violenze subite dalle minoranze di genere e sessuali, bensì qualunque discriminazione e violenza, come se qualunque sesso, genere o orientamento sessuale ne fosse soggetto.

Il ddl, in altre parole, non menziona gli specifici rapporti etero-patriarcali di forza da cui dipendono le discriminazioni e le violenze di genere e sessuali. Se l’avesse fatto, avrebbe dovuto indicare che a subire discriminazioni e violenze fondate sul sesso, sul genere e sull’orientamento sessuale sono solo le donne, le persone trans, bisessuali, intersex, le lesbiche, i gay. Non gli uomini cisgenere eterosessuali, che invece sono quasi sempre gli autori delle violenze contro tutti quei gruppi. Con questa legge, invece, anche loro potrebbero lamentare discriminazioni o violenze subite in quanto uomini etero.

Come mai una legge che si propone di combattere discriminazioni e violenze specifiche, alla fine dei conti produce un testo così ambiguo affidando ampi margini di manovra alla discrezionalità delle corti? E come mai anziché segnalare compatte, e far correggere, i pericoli di questa mistificazione dei rapporti di forza, le minoranze si lacerano al loro interno, drogando il dibattito a volte con menzogne e calunnie? Perché se è vero che tagliare corto sul fatto che la legge non riconosca i rapporti di forza di genere e sessuali, e accontentarsi di ciò che viene, è un ingenuo servizio reso agli oppressori, è vero anche che paventare la minaccia di un’imminente legittimazione della gestazione per altri serve solo ad allargare il fossato tra gay e femministe; che mobilitare il pensiero della differenza sessuale per sollevare criticità sul gender, serve solo a negare il fatto che le vite trans subiscono ogni giorno discriminazioni e violenze; e che fare scempio del “femminismo radicale” per propugnare concezioni essenzialiste e reazionarie – sorrette da dubbie complicità con le destre estreme – serve solo a inquinare la storia e ad alimentare (inconsapevolmente?) inedite forme di antifemminismo.

Questo “dibattito” segnala forse il fallimento dei migliori propositi di alleanza fra tutte quelle minoranze politiche che l’occasione di una legge perfettibile avrebbe potuto rinsaldare ai fini di una visione comune, specialmente nel momento in cui il tasso di violenza di genere e sessuale non è mai stato così elevato come nell’anno della pandemia – e questo è solo uno dei motivi per i quali il ddl avrebbe anche dovuto prevedere massicci investimenti per i centri antiviolenza, per le case protette, e per chiedersi perché le minoranze di genere e sessuali ingrossino le file delle povertà estreme.

Ma tutto ciò testimonia anche cosa resta del dibattito una volta che viene sussunto dai social network e dalle sue dinamiche relazionali, che al termine di un anno di pandemia – e specialmente per le minoranze escluse dalla società – hanno finito per affermarsi quali infelicissimi surrogati di una socialità lancinata e di spazi di elaborazione politica forse volti al termine. Ma è proprio in questa infausta circostanza che potremmo chiederci con più forza: chi trae il maggiore godimento dalle gogne sui social tra le minoranze? Sono gli stessi che dalla loro oppressione derivano la totalità dei benefici e dei privilegi. E sanno, da tempo, che affinché l’oppressione possa continuare indisturbata è necessario che i gruppi oppressi non si uniscano fra loro.

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