Visioni

Un «conservatore» e la «teatralità» dei mafiosi al maxiprocesso

Un «conservatore» e la «teatralità» dei mafiosi al maxiprocesso

Cannes 72 Incontro con Marco Bellocchio, regista del «Traditore», presentato ieri in concorso

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 24 maggio 2019

«Tommaso Buscetta non era un eroe, ma non credo che nel film ci sia questo equivoco», che lui passi come tale, dice Marco Bellocchio del suo protagonista all’incontro di presentazione del Traditore. «Non era un eroe ma un uomo coraggioso – continua – che ha rischiato la sua vita ma non voleva essere ucciso. Era un ’traditore conservatore’, che non voleva cambiare il mondo ma difendeva il suo passato. Era anche un uomo ignorante: non aveva studiato, non leggeva a differenza di altri mafiosi. Ma aveva personalità, un grande carisma».

Il progetto, ricorda Bellocchio, gli è stato proposto dal produttore Beppe Caschetto: «Di Buscetta non sapevo nulla oltre a quello che avevo letto sui giornali. Ho cominciato a documentarmi, leggere libri, incontrare persone che lo avevano conosciuto. E dal soggetto siamo passati alla stesura della sceneggiatura» – scritta dal regista con Ludovica Rampoldi, Valia Santella e Francesco Piccolo.

«UNA SCENEGGIATURA – continua Bellocchio – a cui la mia vita è del tutto estranea: Piacenza è lontana da Palermo, gli omicidi della mafia. Ma con il tempo ci siamo progressivamente impadroniti di questa storia».
Quando è stata annunciata l’uscita del film – in sala da ieri in contemporanea con la presentazione a Cannes e nel ventisettesimo anniversario della strage di Capaci – Giovanni Montinaro, il figlio del caposcorta di Giovanni Falcone morto insieme a lui nell’attentato mafioso – Antonio – ha commentato su Instagram, rivolto a Pierfrancesco Favino, che «da orfano di quella strage» trovava offensiva la data di uscita del film. «La ’discussione’ con Giovanni Montinaro è durata 22 secondi – commenta l’attore che interpreta Buscetta- ha detto che sperava che non fosse un’operazione di marketing e la cosa è finita lì. È una persona a cui è stato ucciso il padre. Ma questa polemica non è mai esistita, e io non voglio prendervi parte. Tutto ciò che possiamo fare è tenere viva la memoria».

La preoccupazione nell’affrontare la figura di Buscetta, dice ancora Bellocchio, era di «non fare un film convenzionale, ma che fosse popolare. Bisognava rappresentare i molti delitti della mafia ma con uno stile adeguato». E restituire la dimensione «teatrale» del maxiprocesso: la «teatralità ’difensiva’ di coloro che appartenevano alla mafia e volevano far fallire il processo. Nel grande confronto fra Buscetta e Pippo Calò loro sono come attori che recitano due ruoli diversi».

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