Sedare, rassicurare, appagare la sete di antipolitica. Il risultato del consiglio dei ministri di ieri conferma la vocazione del governo: dopo avere accontentato Berlusconi sull’Imu, Letta ha approvato le «linee guida» sull’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. Entro la prossima settimana, sarà varato un disegno di legge per «assicurare la trasparenza e la democraticità del loro funzionamento». Nel frattempo la Ragioneria generale dello Stato preparerà le norme fiscali del provvedimento. Allo studio ci sono i meccanismi per regolare le donazioni dei privati ai partiti, le procedure per garantire la trasparenza dei loro statuti e la tracciabilità e l’identificabilità dei contributi. «Era un impegno programmatico – ha detto Letta – vado avanti su questa strada senza ripensamenti o passi indietro». Il tweet soddisfatto del premier ha raccolto il plauso del vicepremier Alfano e del ministro delle riforme Quagliarello. «L’abolizione dei finanziamenti ai partiti era anche nel programma del Pdl». Poi sono arrivati i distinguo: «Tutto bene, ma non va abrogata la democrazia perché ci sono dei costi e i costi devono essere trasparenti».
Al momento dunque l’abolizione non sembra così netta. Restano alcuni punti oscuri. Non è chiaro se resteranno i rimborsi elettorali, se saranno limitati all’accesso alle elezioni oppure, come sostiene il radicale Mario Staderini, resteranno una «forma di finanziamento occulto per i soliti noti attraverso una distrizuione in proporzione dei voti». In attesa di chiarimenti, la mossa di Letta non è stata presa bene dal Movimento 5 Stelle che sul finanziamento ai partiti ha creato una parte della sua miniera d’oro elettorale. Grillo ha tuonato dal suo blog: «È una presa per il culo – scrive – Dopo vent’anni dal referendum va bene!! Ah è solo una proposta, deve prima esprimersi la ragioneria, trovare coperture, regolamentare statuti, regolare donazioni private, trasparenza, commi, articoli». Quella di Letta sarebbe l’ennesima tattica dilatoria di un governo che per Grillo si estinguerà in estate per lasciare il campo libero alla battaglia finale tra lui, e il suo movimento, e Berlusconi. L’ora X dovrebbe essere stata fissata a settembre, al più tardi in autunno. Nella valanga dei commenti sul blog qualcuno ha lanciato la soluzione: basterebbe rinunciare ai finanziamenti come hanno fatto i 5 Stelle che hanno rinunciato a 42 milioni di euro. Quello di Letta sarebbe solo un bluff e nasconde la volontà dei partiti di non cedere l’osso dei loro privilegi. Non sembrano pensarla allo stesso modo il capogruppo pentastellato al Senato Vito Crimi e quello alla Camera Roberta Lombardi. Il primo ha invitato a votare due proposte presentate alla Camera e al Senato. La seconda ha assicurato che i 5 Stelle collaboreranno affinché «il referendum del 1993 sia rispettato». Insomma, qualcosa non funziona ancora nel coordinamento tra le dichiarazioni del capo e quelle dei suoi vertici istituzionali. Salvo pasticci del governo, le distanze con M5S sembrano minime. La reazione rabbiosa di Grillo è la prova che Letta ha giocato una buona carta. Il Pd ha espresso soddisfazione con Epifani, mentre Renzi sostiene che il merito è tutto del suo ex vicesindaco Nardella che ha steso il testo del provvedimento.
Con Berlusconi e Monti continua nel frattempo la luna di miele. Il primo ha allontanato dal governo l’amaro calice della giustizia e delle sue condanne, il secondo lo ha pregato di impegnarsi a tagliare ancora, con la spending review depositata a marzo. Un impegnativo piano da 295 miliardi di euro che Letta e il suo ministro dell’Economia Saccomanni dovranno proseguire. Per Letta si prepara un week end di relax. Ma per stare veramente tranquillo gli basterà non leggere un sondaggio Swg. La fiducia degli italiani nel governo sarebbe scesa al 31%, 12% in meno in un mese. Nemmeno l’austero Monti aveva fatto peggio.