Un collettivo ridens di iene
SCIENZA Fra i pochi esempi in cui la femmina domina sul maschio. E non per forza fisica. Nonostante la pessima fama, è un animale complesso che si organizza, capace di costruire alleanze. In Tanzania, 22 anni fa, due ricercatori dell’Istituto Leibniz di Berlino hanno cominciato a studiarle. Gli scienziati dello «Ngorongoro Hyena Project» hanno scoperto che la gerarchia tra i sessi non deriva da una supremazia fisica, bensì dal supporto sociale ricevuto dal gruppo
SCIENZA Fra i pochi esempi in cui la femmina domina sul maschio. E non per forza fisica. Nonostante la pessima fama, è un animale complesso che si organizza, capace di costruire alleanze. In Tanzania, 22 anni fa, due ricercatori dell’Istituto Leibniz di Berlino hanno cominciato a studiarle. Gli scienziati dello «Ngorongoro Hyena Project» hanno scoperto che la gerarchia tra i sessi non deriva da una supremazia fisica, bensì dal supporto sociale ricevuto dal gruppo
La iena maculata è uno dei pochi mammiferi in cui il sesso dominante è la femmina. I ricercatori dello Ngorongoro Hyena Project hanno scoperto ora che la gerarchia tra i sessi non deriva da una supremazia fisica, ma dal supporto sociale che le femmine ricevono dal gruppo. La scoperta, da poco pubblicata sulla rivista «Nature Ecology and Evolution», rivela come il rapporto tra biologia e politica è complicato anche tra gli animali. L’uguaglianza tra i sessi non è affatto la norma, in natura. Molto spesso è una questione di dimensioni: tra i gorilla, i maschi sono grandi il doppio delle femmine, tra i mandrilli il triplo e tra gli elefanti marini il quadruplo: quando un maschio e una femmina competono, non c’è storia. Ma può succedere anche il contrario. La femmina del melanoceto, un pesce che vive quattromila metri sotto il mare, è sei volte più grande del maschio. Nei polpi del genere Tremoctopus, lei è quarantamila (!) volte più grande di lui.
QUESTO FENOMENO, che i naturalisti chiamano «dimorfismo sessuale», spesso è legato alla struttura sociale della specie: gorilla, mandrilli ed elefanti marini, per esempio, si organizzano in «harem» intorno a un leader maschio. Se sia la causa o l’effetto, non è ancora del tutto chiaro. Non sempre, però, il dominio di un sesso sull’altro si spiega con la maggiore prestanza fisica. Vi sono specie in cui i due sessi sono praticamente identici, e nonostante ciò si stabilisce una gerarchia piuttosto chiara. Qualche volta si può invertire, o è instabile, ma la gerarchia c’è. Ad esempio, le iene. A questo animale oggettivamente poco elegante attribuiamo spesso una nomea di egoismo e spietatezza: dai film di Quentin Tarantino al Re Leone di Disney, le iene recitano immancabilmente la parte del cattivo. Invece, si tratta di un animale sociale, capace di interazioni complesse che durano negli anni e si tramandano attraverso le generazioni. Per capirne davvero la ricchezza, bisognerebbe seguirle per anni o decenni.
È quello che hanno fatto gli svizzeri Bettina Wachter e Oliver Höner (mezza tedesca lei, mezzo brasiliano lui), dell’Istituto Leibniz di Berlino. Ventidue anni fa hanno iniziato a studiare le iene che vivono nella caldera di Ngorongoro, Tanzania, un’area un po’ più estesa di Milano all’interno dell’omonima riserva. Non hanno più smesso.
Insieme a diversi collaboratori, i due trascorrono a Ngorongoro gran parte del loro tempo e conoscono le 550 iene del territorio una per una. A ognuno degli otto clan in cui sono divise hanno dato un nome: «Airstrip», «Munge», «Lemama» e così via. Dopo tanti anni di convivenza, gli animali non fanno più caso alla loro jeep.
OLTRE A FARE SCIENZA, in due decenni di osservazione Wachter e Höner hanno raccolto storie su storie, e ogni tanto le pubblicano sul sito dello Ngorongoro Hyena Project. Se non parlassimo di iene, Walt Disney ne avrebbe già comprato i diritti. L’epopea di Pambana, la femmina spodestata, ferita e resa orfana dalla rivale Tumba, che seppe riprendere il potere sul clan Munge dopo tre anni di umiliazioni grazie all’aiuto della sorella Kombozi: non è perfetta per il cartone di Natale? E il regno di Gorda, che strappò a un maschio la leadership sul clan Shamba e la mantenne per sette anni, durante i quali si accoppiò solo con Lampone, un forestiero arrivato dai Munge? Il racconto di quella volta in cui Jage, un maschio dei Ngoitokitok, cercò di accoppiarsi con Uvumiliva dopo un’abbuffata di cibo e non ci riuscì a causa della pancia troppo piena, ecco, forse non è proprio da bambini, ma un suo pubblico ce l’ha. In quell’occasione, tra l’altro, lei si guadagnò sul campo il suo nome: Uvumiliva in swahili significa «quella con molta pazienza».
OLTRE ad annotare favole straordinarie, Wachter e Höner hanno fatto anche serissime ricerche sulle iene e sulle loro abitudini sociali, meno rigide di quanto si pensasse. Hanno scoperto che un clan può essere dominato anche da un maschio, ma i maschi solitamente lasciano quello di origine e cercano di inserirsi negli altri. Una femmina sceglie per ogni accoppiamento un maschio diverso, ma anche questa regola conosce eccezioni. Negli anni, i ricercatori hanno scoperto come si trasmette il rango da madre a figlio, quali preferenze sessuali hanno le femmine, perché i maschi a un certo punto lasciano il clan. Da un po’ di tempo, i ricercatori studiano perché le femmine dominino sui maschi.
IL FISICO NON C’ENTRA. La femmina in media è giusto un paio di chili più grossa del maschio. Ma iene femmine e maschi sono talmente simili per aspetto e dimensioni che gli stessi zoologi fanno fatica a distinguerli. Il clitoride è lungo come il pene e anche la vulva e lo scroto hanno una forma simile, posto che riusciate ad avvicinare una iena abbastanza per esaminarla. La cosa ha creato spesso incidenti incresciosi. Allo zoo di Sapporo, in Giappone, nel 2010 avevano preso una coppia di iene per farle accoppiare in cattività. Dopo quattro anni di convivenza senza eredi e apparente interesse per la questione, hanno dovuto addormentarle e analizzarle a fondo, con analisi ormonali e ultrasuoni, prima di scoprire che si trattava di due maschi.
Per scoprire l’origine del matriarcato, allora, Wachter, Höner e collaboratori hanno registrato e analizzato oltre quattromila duelli tra iene adulte. I ricercatori hanno notato che l’esito di simili scontri non è scontato: talvolta vince l’esemplare più piccolo, o quello ritenuto meno aggressivo. Sulla base delle correlazioni statistiche, gli scienziati sono riusciti a scoprire che il fattore chiave è il gruppo, cioè la vicinanza e il numero dei membri del proprio clan. In sostanza, più che gli attributi fisici dell’individuo tra le iene conta la rete di alleanze. Può trattarsi di un maschio o una femmina ma, dato che le femmine sono più abbondanti nei clan, è più probabile che a essere spalleggiata dal clan sia una femmina. Lo studio dimostra dunque che il dominio di un sesso sull’altro non ha necessariamente un fondamento biologico individuale, ma spesso ha un’origine sociale.
LA TENTAZIONE di applicare una simile conclusione al genere umano è forte. Un’altra studiosa delle iene, la statunitense Jennifer E. Smith, sottolinea il parallelismo con il movimento #metoo, ma ammette che si tratta di società troppo diverse. In effetti, considerare l’essere umano una specie tra le altre è un esercizio sano e aiuta a ristabilire un rapporto più equilibrato con l’ecosistema. Ma ci fa misurare i nostri comportamenti sulla base della presunta «naturalezza». Ebbene, la natura offre esempi di tutto e del suo contrario. Guarda caso, però, l’identificazione tra «naturale» e «giusto» è l’arma più usata da chi vuole mantenere lo status quo, per quanto artificiale esso sia.
Il fatto è che l’idea stessa di natura riflette i valori dominanti della nostra società, anche se in maniera così mediata che non ce ne accorgiamo più. Il problema, dunque, non è ammettere che siamo animali come altri, ma quello opposto: riconoscere che quando parliamo di animali, molto spesso parliamo di noi.
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