Venendo a giocare la squadra di nome sui campi di provincia, gli spettatori di riflesso si moltiplicavano. Così anche oggi. Ma parliamo del periodo in cui mancava l’osservanza di limitazione dei posti per motivi di sicurezza e sulle gradinate di pietra o di legno dei vecchi stadi ci si poteva accalcare fino all’inverosimile. Per le tifoserie non cambiava niente, l’affollamento andava anche bene; per i cassieri del botteghino, figuriamoci, andava benone. Il pubblico vi accorreva euforico per l’aspettativa delle giocate talentose che avrebbero esibito i due-tre fuoriclasse (quasi sempre oriundi sudamericani) che militavano tra le fila della grande squadra. Il gioco mostrato, ancorché spettacolare, risultava compassato, perfino lento, senza picchi di impeto agonistico ovvero contrasti particolarmente violenti. In quella cornice i giocatori di classe, perlopiù attaccanti, concedevano azioni virtuose che estasiavano gli spalti e non solo. Gli stessi giocatori della squadra di casa, nel tentativo velleitario di marcarli, esitavano, restandone ammirati, se non ammaliati dalla bellezza di quelle azioni. Il calcio, e non da adesso, ha sbarrato la porta ai giocatori che toccano di fino il pallone, che sublimano il gioco con leggerezza di tocchi, con finte, mosse ubriacanti e tiri dagli effetti imprevedibili.

Ne sono rimasti, sui campi di serie A, di simile genia? Gli allenatori se ne liberano volentieri di atleti intrinsecamente tecnici, indugianti nel donare numeri di bel gioco (vogliamo definirlo lezioso?) per puro piacere degli occhi; preferiscono lasciare posto in squadra a calciatori fisici e arrembanti, coi piedi ruvidi se mai, adatti meglio a rompere manovre tattiche di gioco e talvolta, per eccessiva veemenza, caviglie di avversari. Paulo Dybala, di ruolo attaccante e comprovato esteta del pallone, ha indossato per sette anni la maglia bianconera e la sua squadra, ancor prima che finisse il campionato, ha detto basta. Non sa che farsene ormai di un calciatore la cui abilità funambolica è stata vista finanche d’ostacolo all’efficienza operativa degli undici disposti in campo. E nonostante che nel computo dei gol segnati, tra le varie competizioni di quest’ultima annata, si sia rivelato il più prolifico dell’organico. Giocatore-giocoliere è stato Dybala. Stupefacente e ineffabile, un baleno che squarciava partite prive di spunti («le giocate alla Dybala», si diceva), così incline al virtuosismo quanto indolente e fragile, anche emotivamente. Tanto da essere considerato superfluo. Facendone a meno, la Juventus ha sferrato un calcio risolutivo a lui (Dybala) e a quel calcio, espressione di grazia, che le società (definite sportive) non riconoscono. Peraltro già non più visibile sui campi da football. Quel calcio che si praticava quando, appunto, veniva chiamato football.