Un business che distrugge l’ambiente
Il fatto della settimana Tra monocoltura e deforestazione, le coltivazioni di avocado in Messico sono una fortuna per i produttori e una condanna per l’ecosistema
Il fatto della settimana Tra monocoltura e deforestazione, le coltivazioni di avocado in Messico sono una fortuna per i produttori e una condanna per l’ecosistema
Nella provincia messicana di Michoacàn l’avocado rappresenta una fortuna e una condanna. Nel 2018 l’organizzazione ambientalista Reforestamos Mexico ha pubblicato un report dal titolo «Boschi o avocado: chi è a rischio?». Secondo i dati raccolti dall’organizzazione, negli ultimi dieci anni le esportazioni messicane del frutto sono aumentate del 171,9%. Questo boom, da un lato, arricchisce i produttori ma, dall’altro, spinge verso la diffusione della monocoltura e genera deforestazione.
Da quando il frutto è stato segnalato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per le sue caratteristiche nutrizionali e per la presenza di grassi insaturi ed è diventato simbolo di una dieta salutare, il consumo globale ha fatto un balzo in avanti. Secondo i dati Fao, dal 2014 al 2017 la superficie coltivata ad avocado è aumentata in tutti i continenti, ma la crescita più significativa si è registrata in Asia e in America Latina. Nel 2017 il Messico occupava il primo posto tra i paesi produttori, seguito da: Repubblica Domenicana, Perù, Colombia, Indonesia, Cina, Israele e da paesi africani come Malawi, Sudafrica, Camerun e Repubblica Democratica del Congo. Sono sempre più numerosi gli agricoltori che convertono la loro produzione verso il frutto tropicale. In Europa il primato della produzione è riservato alla Spagna.
PER LA SUA REDDITIVITÀ E PER LA RICHIESTA mondiale in crescita il frutto ha preso il nome di «oro verde». Il valore delle esportazioni di avocado messicano a livello globale, secondo i dati della Fao, è aumentato del 500% negli ultimi dieci anni. Gli Stati Uniti rimangono il maggiore importatore degli avocado messicani, mentre nei nostri supermercati si trovano frutti provenienti da Repubblica Dominicana, Spagna, Cile, Brasile, Sudafrica e Israele. Se consideriamo i paesi di provenienza del frutto, non possiamo ignorare la quantità di anidride carbonica emessa nell’ambiente, che il trasporto avvenga in nave o in aereo. Nell’Europa a 28 l’avocado era al terzo posto tra i frutti tropicali più consumati nel 2016, con una crescita, tra il 2007 e il 2016, del 146%. Nel 2019 l’aspettativa dei produttori di avocado rispetto ai consumi europei era di oltre 700 mila tonnellate. Tra i maggiori consumatori ci sono paesi del nord Europa come Danimarca, Norvegia e Svezia. L’Italia occupa gli ultimi posti della classifica europea, ma la tendenza all’acquisto è in rapido aumento. In crescita, oltre al mercato europeo, c’è anche quello di Canada, Giappone e soprattutto della Cina.
La provincia di Michoacàn è il principale luogo di origine dell’avocado messicano, con il 72% della superficie occupata dalle piantagioni. Nella regione il frutto viene coltivato in tre aree climatiche, per ottenere il prodotto tutti i mesi dell’anno.
LE ASSOCIAZIONI E LE ORGANIZZAZIONI ambientaliste messicane denunciano il cambio di uso del suolo nella provincia di Michoacàn. Secondo le analisi satellitari realizzate da Global Forest Watch e Bosques Abiertos tra il 1990 e il 2015 le aree boscate in Messico si sono ridotte di 3,72 milioni di ettari, pari alla superficie del Belgio. Un rapporto del 2012 dell’Istituto Nazionale di investigazione agricola e forestale ha analizzato l’impatto del cambio di uso del suolo dalla copertura forestale a quella delle piantagioni. Nel documento si legge che la coltura di avocado ha diminuito la quantità di acqua che permea nel terreno e ha ridotto la capacità di assorbimento del carbonio da parte del suolo. Inoltre ha messo a rischio il ruolo delle piante nel regolare il clima a livello locale. Secondo lo studio, circa il 25% delle coltivazioni in Messico si trova in terreni a vocazione forestale.
LA DIFFUSIONE DELLA PIANTA DELL’AVOCADO nella provincia di Michoacàn è cominciata negli anni ’70, quando la coltura prese il posto di altri prodotti tradizionali come il mais e i fagioli. Dagli anni 2000 in poi la crescente domanda ha spinto l’espansione delle piantagioni a discapito dei boschi. Ad essere interessate dalla conversione sono anche aree protette. Una delle tecniche utilizzate per rubare terra alle foreste è quella degli incendi boschivi.
Oltre alla deforestazione, a preoccupare le associazioni ambientaliste e gli studiosi è anche l’impatto sulle risorse idriche. L’espansione dell’area coltivata ha delle ripercussioni sia sulla quantità che sulla qualità delle acque, anche visto l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici. Uno studio del 2011 realizzato dal Centro di
Investigazione sulla Geografia Ambientale evidenziò la presenza di fosfato nelle acque in quantità superiori ai livelli di legge.
«In questa zona del Messico piove molto, ma abbiamo così tante piantagioni di avocado che le acque che arrivano dalle montagne vengono prelevate dai torrenti per irrigare», racconta Alberto Gomez-Tagle, ricercatore messicano dell’Università di Michoacàn. Ha studiato per 15 anni l’idrologia e l’ecosistema delle foreste, da sei anni ha applicato le sue conoscenze allo studio dell’idrologia della pianta di avocado. La sua ricerca sul campo si compone di misurazioni delle precipitazioni, dell’acqua utilizzata dalle piante, di quella che penetra nel suolo, delle sorgenti e delle acque superficiali. Alberto Gomez-Tagle riporta il sondaggio preliminare che ha realizzato nella provincia: «Circa il 50% dei ruscelli montani sono stati modificati per prelevare l’acqua». La richiesta idrica delle piante di avocado può essere fino ad otto volte quella dei pini autoctoni. «I proprietari delle piantagioni realizzano piccole dighe nei torrenti, riducendo la quantità di acqua che arriva alle comunità e ai piccoli contadini», spiega. Più le aree sono siccitose più elevati sono conflitti legati all’uso dell’acqua, racconta il ricercatore: «I produttori di avocado stanno cominciando a costruire piccole piscine per raccogliere l’acqua piovana o quella proveniente dai ruscelli». Alberto Gomez-Tagle conosce da vicino anche i conflitti per l’acqua che si sono sviluppati nelle zone di coltura del frutto in Cile: «Nella valle Petorca, a nord di Santiago e La Ligua, molte comunità sono rimaste senz’acqua a causa delle piantagioni». Nel 2019 il sindaco di Petorca, in Cile, ha chiesto di regolare le colture di avocado e agrumi, accusate di impoverire le risorse idriche e le falde in una regione con gravi problemi di siccità. La società civile locale ha lanciato una petizione che denuncia l’accaparramento delle acque da parte dell’agroindustria, chiede che l’acqua venga considerata un bene comune e venga gestita in modo comunitario.
L’ESPANSIONE DELL’AVOCADO METTE a rischio la biodiversità vegetale e animale. Nella Riserva della Biosfera della farfalla monarca istituita dall’Unesco, gli organismi federali di protezione dell’ambiente individuano e smantellano periodicamente coltivazioni illegali. Secondo un rapporto dell’Istituto Nazionale di investigazione agricola e forestale la monocoltura ha ridotto la diversità genetica che riesce a preservarsi solo nelle aree protette. A gennaio è stato ucciso Homero Gomez Gonzalez, fondatore della riserva della farfalla monarca. L’uomo si batteva proprio contro il disboscamento illegale.
Sotto osservazione dei media locali e internazionali sono finiti anche gli effetti sulla salute per le popolazioni che abitano vicino alle piantagioni e per i lavoratori. Secondo le inchieste realizzate, nelle zone di coltivazione dell’avocado risultano più numerosi i casi di cancro, diagnosticati anche a donne e bambini. Non esistono, però, ricerche ufficiali che mettano in relazione le malattie all’uso di pesticidi e fertilizzanti nelle piantagioni di avocado.
NELLA PROVINCIA DI MICHOACÀN l’avocado è sinonimo di opportunità economica. Questa coltura, infatti, oltre ad essere redditizia sul mercato internazionale è anche accompagnata da incentivi governativi. Nel rapporto realizzato dalle organizzazioni ambientaliste si evidenzia come le risorse a disposizione dei programmi di sviluppo rurale siano infinitamente maggiori rispetto a quelle a sostegno delle politiche ambientali. «Gli agricoltori si sono accorti di ottenere introiti maggiori con l’avocado ma sono costretti a comprare il cibo che prima producevano», sottolinea il ricercatore dell’Università di Michoacàn. «Nessuno vuole più produrre mais o fagioli, la regione importa cibo dal resto del paese o dall’estero», dice.
Alberto Gomez-Tagle lavora in uno dei pochi centri di ricerca che si occupa di analizzare l’impatto ambientale dell’avocado. A parlare dei risvolti negativi della coltura sono in pochi: «La ricerca scientifica fino ad oggi si è concentrata sulla produttività della pianta». E aggiunge: «Gli interessi economici sono molto forti».
IL BUSINESS DELL’AVOCADO HA ATTIRATO organizzazioni criminali come i Los Caballeros Templarios e il cartello Jalisco Nueva Generacion. Intimidazioni, violenze e rapimenti: sono questi i mezzi utilizzati dai gruppi criminali per ricattare e controllare i produttori. Secondo la società di consulenza strategica britannica Verisk Maplecroft l’avocado rischia di diventare il prossimo bene legato a conflitti. Nell’analisi di dicembre 2019 la società sottolinea come i prezzi record in Messico abbiano arricchito gli agricoltori ma abbiano attratto anche i gruppi criminali. Secondo il report tutta la filiera sarebbe permeata dalla violenza e dalla corruzione, nel Michoacàn. Le violenze si tradurrebbero in estorsioni, coltivazioni controllate da gruppi criminali, terreni sequestrati o piantagioni illegali. Gli alti livelli di violenza nella provincia messicana hanno messo in allarme anche gli Stati Uniti. Nell’agosto 2019 gli Usa hanno temporaneamente sospeso i controlli sanitari sugli avocado provenienti da una delle aree di produzione per i numerosi incidenti capitati al personale addetto e hanno minacciato di bloccare la certificazione dell’avocado messicano, necessaria per l’ingresso in territorio statunitense.
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