Cultura

Un box mentale ed emotivo che risucchia lo spettatore

Un box mentale ed emotivo che risucchia lo spettatoreJoseph Cornell, «The Hotel Eden» (1945)

Scaffale Intorno al libro «L’immagine scatola. Joseph Cornell, Masashi Echigo, Robin Meier» di Federico Leoni, edito da Castelvecchi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 10 agosto 2022

L’assemblaggio di oggetti piuttosto che la compiutezza dell’opera in un risultato estetico preciso e compatto ha costituito una linea esplorativa costante nell’arte dell’ultimo secolo. I tre interventi di Federico Leoni riuniti in L’immagine scatola. Joseph Cornell, Masashi Echigo, Robin Meier (Castelvecchi, pp. 64, euro 11,50) intendono analizzare i rapporti tra nozione di opera, in questo caso opera nelle immagini, e l’apertura. In questa prospettiva, la cornice non è ciò che chiude l’opera ma ciò che ne consente la continua rilocalizzazione e la sua consegna a un nuovo tempo, in una processualità-evento infinita, lungo una semiosi illimitata.
Le immagini non possono venire mai separate con un tratto dall’oggetto stesso e vivono già in una cornice che a volte risucchia dentro di sé anche lo spettatore, portato a reagire ad assemblaggi di oggetti secondo elementi concettuali sociali, universali o personali preesistenti.

LA «FONTANA» DI DUCHAMP potrebbe essere considerata opera (concettuale o meno) se l’autore non l’avesse inserita in un contesto-cornice riconosciuto chiamato galleria? In modo simile, Joseph Cornell lavora con oggetti raccolti in strada e assemblati in teche. La scatola è quella cornice che Duchamp ha evitato di esplicitare direttamente ma che spinge a concedere il frame opera-immagine a oggetti privati della propria comune funzione.

IN QUESTO MODO la scatola non chiude gli oggetti dentro una definizione d’uso, ma consente allo spettatore di fare un’esperienza temporale sulla base delle proprie percezioni e della propria collaborazione con il contesto museo. La scatola non è il luogo della chiusura ma dell’apertura.
Nel momento in cui creiamo la cornice, visualizziamo non un manufatto ma un oggetto che permette l’esperienza dello spazio e del tempo nel tempo e nello spazio.
Un percorso simile riguarda il lavoro di Masashi Echigo, che sebbene chiami in causa più direttamente la scultura, nega la chiusura del risultato: l’opera è assemblabile all’infinito e quando l’artista cessa di costruirla, allora comincia l’operazione tutta mentale ed emotiva di chi guarda.
Diverso l’esempio di Robin Meierm che – data la sua matrice di musicologo – presuppone non una cornice esterna ma il risultato di un continuo interscambio tra suoni e immagini emessi da elementi naturali e artificiali, insetti e led. La cornice concettuale «armonia» è data dal reciproco adattamento che crea un ensemble e non da un’operazione a priori.

È SEMPRE L’ARTISTA a creare il campo da gioco e il set di regole da seguire per poter partecipare all’operazione che l’opera istituisce, tuttavia la potenza interpretativa di queste regole da parte di chi se ne appropria sarà sempre aperta e potenzialmente infinita. Nell’indagine conoscitiva di Leoni, dunque, ciò che chiama «immagine scatola» non è un ossimoro, ma ciò che permette all’immagine di uscire dal fondo manifestandosi come tale.

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