Un baule di testi argentini in ordine patafisico
Narrativa A 50 anni dalla sua comparsa Sur ristampa «Il giro del giorno in ottanta mondi», dove Cortázar accumula fotografie, dipinti, illustrazioni, scritti, in una inviolabile casualità
Narrativa A 50 anni dalla sua comparsa Sur ristampa «Il giro del giorno in ottanta mondi», dove Cortázar accumula fotografie, dipinti, illustrazioni, scritti, in una inviolabile casualità
Per la letteratura ispanoamericana il 1967 fu un anno memorabile: Miguel Ángel Asturias vinse il Nobel, Gabriel García Márquez diede alle stampe Cent’anni di solitudine – «l’opera più importante in lingua spagnola dopo il Don Chisciotte» si disse al IV Congreso Internacional de la Lengua Española del 2007 – Guillermo Cabrera Infante pubblicò l’edizione definitiva di Tre tristi tigri, un romanzo fatto di frammenti e, più che scritto, parlato «in cubano», come precisava l’autore nel prologo, per poter registrare l’accento vibrante delle notti all’Avana; e uscivano anche Cambio di pelle, di Carlos Fuentes e la novella I cuccioli, di Mario Vargas Llosa. Come molti altri libri apparsi in quel decennio di rivoluzioni politiche e letterarie, anche questi titoli tentarono di spazzare via le convenzioni dei generi e rinnovarono la concezione stessa della letteratura, ripensandone la funzione in rapporto alla storia e al mondo che raccontavano.
Testi in ordine anarchico
Di questa festa dell’immaginazione e del linguaggio, di questa rifondazione radicale dell’agire letterario e umano partecipa Il giro del giorno in ottanta mondi di Julio Cortázar, che a cinquant’anni dalla sua prima edizione Sur ristampa nella meritoria traduzione di Elenora Mogavero (pp. 330, euro 18,00). Miscellanea, libro-collage, almanacco, questo Giro è anche «una specie di baule», disse l’autore, dove si accumulano secondo un ordine patafisico, cioè casuale e al tempo stesso inviolabile, fotografie, dipinti, illustrazioni e testi recalcitranti a qualsivoglia etichettatura, «creando un meccanismo di rimandi che potrebbe piacere al lettore sensibile», come Cortázar spiegò a Graciela De Sola, fra le sue più acute lettrici. Secondo una delle coincidenze care all’argentino, fu un altro Julio – l’artista Julio Silva – a curare l’organizzazione grafica del volume, «a dare forma e ritmo al giro del giorno», forse il più ludico – e quindi il più intimamente cortazariano – dei suoi libri.
Sin dal titolo, in quell’evocazione di Jules Verne e del giro del mondo del suo Phileas Fogg, il «lettore sensibile» è chiamato a giocare, a prepararsi all’inatteso che affiora dalle crepe delle apparenze, ad abbandonarsi a «quel colpo d’ala che spezza il continuum», metafore con cui Cortázar descrisse l’assolo di tromba di Clifford Brown nelle pagine che dedica al jazzista in questo volume.
Lo spaesamento del lettore, del resto, comincia con la difficoltà di classificare i testi che compongono il libro – saggi che sembrano memorie, memorie che sembrano racconti di finzione, montaggi di versi e di strofe da cui scaturiscono inedite poesie di gusto surrealista… – e che, proprio in virtù della loro natura anarchica, mantengono quel carattere di «esperienza vitale» tipico della letteratura, a detta di Cortázar.
Etica dell’estetica
Di cosa trattano queste pagine è secondario: si parla, naturalmente, di altri libri e di altri scrittori, si parla del jazz di Thelonious Monk e di Louis Armstrong («grandissimo cronopio»), di boxe, di presunte tradizioni maori, di solitarie esplorazioni notturne dei ministeri finlandesi, di Jack lo Squartatore (e della sua fantomatica morte a Buenos Aires), di gatti e di soggiorni nell’Alta Provenza.
Il tema, inteso come mero aneddoto, non è una preoccupazione di Cortázar, e lo dimostrano scritti ormai classici come «Del sentimento di non esserci del tutto», «Sul sentimento del fantastico», «Casella del camaleonte», presenti in questo volume. Ciò che preoccupa lo scrittore argentino è piuttosto suggerire – e praticare – un’estetica della letteratura che sia anche etica: si gioca con i testi, dunque, perché si gioca nella vita.
Il giro del giorno in ottanta mondi diventa allora il canto polifonico, divertito e divertente, di un «irregolare della letteratura», come Cortázar ebbe a definirsi, che ci esorta a «non esserci del tutto in nessuna delle strutture, delle tele che tesse la vita e in cui siamo al tempo stesso ragno e mosca». Solo grazie a questa gioiosa e ribelle libertà, riusciremo a vedere gli ottanta mondi che ogni giorno può contenere.
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